Recentemente, su Debaser, qualcuno lamentava che in questo inizio di stagione cinematografica circolino opere classificabili come flop sia artistici, sia commerciali. Ma mettiamo il caso che questa definizione venga formulata da qualcuno che si sente chiamato in causa proprio perché il film tratta di alcuni episodi e aspetti della sua vita non proprio commendevoli? E se questo qualcuno fosse niente meno che un certo Donald Trump, voi cosa pensereste ed eventualmente fareste? Non so voi, ma io non appena ho saputo che era uscito in sala "The Apprentice" dedicato al tycoon e politicante di cui sopra, purtroppo ex presidente degli Usa dal 2017 al 2020, non ho avuto dubbi e mi son detto che finalmente era possibile vedere un film che può dar fastidio al bastardo Donald ( e mi scuso con i bastardi). Ho ritenuto cosa buona e giusta vedere l'opera realizzata da Ali Abbasi, regista iraniano naturalizzato danese. E anche se qualcuno sbuffa all'idea di tornare a parlare di Trump, beh consiglio caldamente di farsi un'idea più circostanziata su chi sta concorrendo a tornare ancora alla Casa Bianca. Non illudiamoci che siano problemi esclusivamente yankee.
Il punto nodale di tutta la pellicola non è tanto il successo dell'allora palazzinaro Trump (sulle orme di un padre gretto e sprezzante verso i figli), bensì il rapporto professionale che lo lego`, fra il 1973 e il 1985, all'avvocato Roy Cohn, vero e proprio suggeritore e mentore di Donald. Se il nome dell'avvocato Cohn dice poco e nulla, vi basti sapere che questi fece carriera in modo fraudolento negli anni '50 al seguito del senatore Mc Carthy nell'inquisire molte persone che, a quei tempi, svolgevano attività antiamericane (la cosiddetta caccia alle streghe). Fra questi, illustri vittime furono i coniugi Rosenberg rei di aver passato segreti militari alle autorità sovietiche. Ancora oggi persistono dubbi sulla reale colpevolezza dei Rosenberg, ma Cohn fu implacabile nel chiedere alla corte di condannare a morte i due. E infatti la sedia elettrica fu attivata.
Da allora Cohn proseguì la sua carriera, fino a conoscere nel 1973 Donald Trump, giovane ambizioso di arricchirsi nel mondo degli affari in quella New York city turbolenta. E Roy Cohn non gli fa mistero delle regole non scritte per emergere: attaccare sempre, non darsi mai per vinto, sostenere sempre la propria versione dei fatti o verità, anche se in contrasto con quanto sostengono tanti altri. Soprattutto, non attenersi alla regola sportiva per cui c'è contrasto solo per il possesso palla, bensì puntare sempre all'avversario, alla persona per fargli male il più possibile.
Inutile dire che questi suggerimenti vengono fatti propri da Donald, che riuscirà ad edificare palazzi sfarzosi e kitsch a New York (non solo la Trump Tower), fino ad essere definito l'uomo più ricco della città. E tutto questo negli anni '80 dell'America reaganiana rampante, caratterizzata da numerose agevolazioni fiscali per imprenditori senza scrupoli e riduzioni di spese pubbliche per il welfare assistenziale.
In questo biopic crudo realizzato da Alì Abbasi, colpiscono tanti particolari che svelano la vera natura di Trump. Intanto, quando incontra Cohn è solo un figlio di papà decisamente bifolco, se solo si nota che, ad un party selvaggio dell'avvocato notoriamente omosessuale, incrocia fra gli ospiti niente meno che Andy Warhol e non lo riconosce, tanto da chiedergli cosa faccia per vivere. Incredibile, perché nella New York di quegli anni l'artista in questione era molto famoso e pertanto il rampante palazzinaro era di un'ignoranza abissale. Così come risulta maleducato e ignorante quando fa recapitare un bouquet di rose alla corteggiata Ivanka ( sua futura prima moglie) , dimenticandosi di far rimuovere il biglietto del prezzo della confezione. Certo anche lei avrebbe potuto mandarlo a quel tal paese, ma il richiamo dei soldi è troppo forte e dovrà poi pentirsene visto che un giorno il maritino, stanco del menage, penserà bene di violentarla.
A ciò va aggiunto che il bastardo Donald è talmente vanesio da gongolare quando, sulla prima pagina di un quotidiano, qualcuno si slancia a definirlo non solo un ricco Creso, ma pure un uomo tanto bello quanto l'attore Robert Redford (forse il giornalista di cui sopra non si era ancora recato dall'oculista..). Ma soprattutto quello che viene posto in risalto nel film è l'inesistente empatia dell'imbroglione disonesto Donald, espressa in più occasioni sia verso il fratello per niente affermato socialmente, ed economicamente, sia verso lo stesso avvocato Cohn che morirà nel 1986 per sospetto AIDS e che verrà scaricato dall'arrivista bastardo palazzinaro pochi mesi prima di morire. In fondo, questa è la conseguente applicazione dei precetti espressi dal disonesto e corrotto Cohn, ma in un mondo così spietato degli affari non può esserci spazio per una briciola di pietas cristiana.
Recitato divinamente da Sebastian Stan nei panni di Donald Trump (risultando perfino piu attraente del miliardario americano) e da Jeremy Strong nel ruolo dell'avvocato mefistofelico Roy Cohn, il film ci ricorda che dietro una storia di successo debordante e clamoroso si possono celare misfatti torbidi (come minimo). Se poi si aggiunge che lo staff che sta supportando Trump come candidato alla Casa Bianca ha diffidato qualsiasi major cinematografica a distribuire il film in USA in quanto falso e tendenzioso, beh allora andare a vedere la pellicola rappresenta anche un atto politicamente giustificato.
La data delle elezioni presidenziali americane è ormai prossima e, anche se qualcuno le ritenesse di scarso interesse, vorrei qui citare quanto ebbe a dire Roy Cohn poco prima di morire, a fronte del comportamento freddo di Trump nei suoi confronti: " Non so proprio perché si stia comportando così nei miei riguardi. Mi sembra un uomo che piscia acqua ghiacciata." E detto questo, è detto tutto.
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