BRUTAL PLANET (2000, EAGLE) A sei anni di distanza da “The Last Temptation”, ultimo suo album in studio, Alice Cooper ritorna sulle scene con un disco profondamente cupo, costruito su riffs pesanti ed aggressivi: le melodie facili sono sparite, adesso l’illusionista di Detroit punta tutto su testi politicamente impegnati abbinati ad un sound granitico e ad un uso massiccio ma oculato di tecnologie all’ avanguardia. Il produttore è Bob Ezrin, mecenate dello stesso Cooper nei gloriosi seventies (ed artefice del successo di molti altri gruppi di grido, come Kiss e Pink Floyd), affiancato in questo suo compito da Bob Marlette, noto poli-strumentista che troviamo anche alla chitarra ritmica, al basso ed alle tastiere. Dietro le pelli si fa notare l’evergreen Eric Singer, ex batterista dei Kiss, mentre un grande lavoro di ricamo sonoro viene svolto dal trittico di axe-men composto da China, Phil X e Ryan Roxie.

Il compito di aprire le danze dell’ album è affidato alla devastante “Brutal Planet”, in cui fra chitarre taglienti e decadenti atmosfere fa capolino la dolcissima voce di Natalie Delaney. Segue “Wicked Young Man” che rimanda la mente al folle massacro della Columbine High School; superata anche l’ottima “Sanctuary”, quasi una punk song iper tecnologica (con tutti i paradossi del caso: qualcuno la definirebbe “cyberpunk”…), si approda a “Blow me a Kiss” un pezzo che Cooper dedica a tutti gli emarginati, denunciando ogni forma di razzismo come focolaio di stupidità ed ignoranza. “Eat Some More” è l’ introduzione ideale per il capolavoro del disco, la macabra ballad “Pick Up The Bones”, traccia ormai leggendaria in cui Alice mette a fuoco la situazione di conflitto etnico in Kosovo regalandoci il più bell’inno anti – militarista dai tempi di “Civil War” dei Guns N’ Roses. Si arriva così a “Gimme”, song interessante e primo singolo estratto dall’album, correlato da un video in cui il rocker di Detroit veste con (auto)ironia i panni del Maligno. “It’ s the Little Things” rappresenta l’ inno del trionfale come-back targato Vincent Fournier: “welcome to my nightmare – no more mr. nice guy” è il ritornello che risuona violentemente nell’ aria e marchia a fuoco questa composizione. “Take it Like a Woman”, ballata dolcissima, fa da preludio a “Cold Machines” un’amara e poetica traccia di stampo industriale grazie alla quale, se mai ce ne fosse stato bisogno, Alice dimostra al mondo di poter surclassare tutti i propri emuli degli anni ’90 (su tutti i pur validi White Zombie e Marilyn Manson) affrontandoli sul loro stesso terreno d’ azione.

Il songwriting pungente che aveva infiammato le platee negli anni ’70 si rinnova pienamente in “Brutal Planet”, un disco in cui Alice Cooper torna prepotentemente a ruggire, dipingendo con intelligenza il terribile affresco di un mondo dilaniato dall’odio.

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