Se “Brutal Planet” (2000) aveva mostrato con estrema efficacia le atrocità di un mondo rimasto orfano di valori e sentimenti, “Dragontown” assume dei connotati più intimisti: pur avvalendosi di elaborate tecnologie questo album si mette in luce per un sound passionale ed avvolgente vicino al superbo “The Last Temptation” (1994).
Con questo disco Alice ci prende per mano e ci guida alla scoperta della città del drago, cuore pulsante del pianeta brutale, luogo in cui le nostre angosce, i timori e le paure prendono forma affrontandoci a viso aperto. Ascoltando “Dragontown” ci addentriamo nelle più recondite profondità dell’animo umano, alla ricerca delle creature che hanno reso questo pianeta una sfera d’odio alla deriva nelle geometrie dell’universo. L’affresco tracciato da Alice assume, quindi, la magniloquenza di opere sepolte dal tempo come “Welcome to my Nightmare” (1975) e “From the Inside” (1978), proiettandone lo spirito ironico e spettrale in un futuro popolato da un’umanità artificiale. Il rodato duo Ezrin–Marlette in cabina di regia ci offre un suono nitido ed una resa impeccabile degli strumenti, sfoltendo il bagaglio tecnologico e lasciando più spazio a chitarra e batteria.
“Triggerman”, l’ennesimo potenziale hit-single sfornato dall’illusionista di Detroit, è semplicemente magnifica: le voci filtrate in apertura e i giochi chitarristici di Ryan Roxie e Wayne Swinny esaltano alla perfezione l’intera struttura melodica della composizione. Le atmosfere oscure di “Deeper” ci aprono le porte di “Dragontown”, titletrack ed ennesimo gioiello confezionato dal Nostro; segue a ruota il quadro decadente dipinto da “Sex, Death and Money” che delinea un sogwriting pungente, riallacciabile a quanto proposto dal rocker americano in “Billion Dollar Babies” (1974). La successiva “Fantasy Man” ricorda il periodo d’oro di platters come “Trash” (1989) ed “Hey Stoopid” (1991), mentre “Somewhere In The Jungle” si lascia ascoltare con piacere pur non lasciando un segno indelebile nell’ascoltatore.
Proseguendo oltre si ha modo di apprezzare ulteriormente il genio di questo artista fin troppo sottovalutato: dalla mente malata di Alice prende forma il cyber–boogie “Disgraceland", un pezzo unico, magico, semplicemente eccezionale in cui Mr. Furnier tributa sarcasticamente l’icona del rock n’roll Elvis Presley. Andando avanti ci imbattiamo in un’altra canzone di notevole spessore come “Sister Sara”, caratterizzata da un intermezzo rap piuttosto spiazzante ed ideale prosecuzione di quanto detto da Cooper in “Nurse Rozetta”, song presente nell’album “From The Inside” del 1978. “Every Woman Has a Name” è l’immancabile ballad delicata e suadente, mentre “It's much Too late” pesca a piene mani dal repertorio anni ’70, avvicinandosi allo stile del più scanzonato John Lennon. “I Just Wanna Be God”, invece, assume i connotati inquietanti di un devastante residuo della furia cieca sprigionata in “Brutal Planet” (2000), a cui si ricollega anche la conclusiva “The Sentinel”. Giunti al termine dell’ascolto di questo album, la voglia di ricominciare da capo è molto forte…
Nel 2002, l’artista di Detroit è ancora uno dei pochi musicisti che riescono a stupire la platea senza mancarle di rispetto: ”Dragontown” rappresenta l’Alice Cooper contemporaneo, uno dei pochi rockers in circolazione ad avere il coraggio di rinnovarsi senza snaturare le proprie origini o mentire a sé stesso. (Enrico Rosticci)
TRACK LIST:
01) TRIGGERMAN
02) DEEPER
03) DRAGONTOWN
04) SEX, DEATH AND MONEY
05) FANTASY MAN
06) SOMEWHERE IN THE JUNGLE
07) DISGRACELAND
08) SISTER SARA
09) EVERY WOMAN HAS A NAME
10) I JUST WANNA BE GOD
11) IT’ S MUCH TOO LATE
12) THE SENTINEL
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