E perché mai dovrebbe servire una terza recensione su "AB III"?! Facile, perché le prime due erano sbagliate!

Ok ok, "sbagliate" è un termine scorretto. Diciamo che non mi sento in linea con le recensioni a mio vedere troppo incensanti l'ultimo album degli Alter Bridge. Si parla di "maturità della band", "affresco di generi e sensazioni", di "apice musicale"... Troppo, troppo...

AB III, purtroppo, non riesce a mantenere le aspettative che -giustamente- in lui erano state riposte. E' accaduto un fenomeno particolare: la band ha "decollato" in termini di popolarità con un album che, invece, declina in qualità complessiva rispetto ai precedenti. "One Day Remains" e "Blackbird" sono stati album solidi, onesti ed efficaci, che giustamente hanno attirato l'attenzione di critica e fan dell'hard rock (teniamoci sul vago con i generi musicali)... Ora, a 3 anni dal precedente, ci si aspettava un disco veramente coi controcaxxi, con cui rivendicare una bella presenza, nel 2010, nel hard rock mainstream. E invece no.

Il fatto di aver prodotto due buoni album in precedenza, avere una fan-base fedele che continua ad allargarsi, ed essere approdati alla Roadrunner Records (che li sta promuovendo molto bene), ha portato gli Alter Bridge ad una visibilità di primo piano. Il disco vende bene, il tour europeo è molto fitto, e molti show sono sold out, anche in Italia. Ma è il prodotto nuovo che portano in tour a non essere all'altezza dello "standing" che hanno acquisito.

"AB III" è una battuta d'arresto rispetto il percorso che la band ha intrapreso.

Il "sound" generale. Pochissima evoluzione rispetto al precedente. Gli Alter Bridge ci illudono alla grande con la opener, "Slip To The Void", che propone un intro inatteso, da brivido: lento, cupo, infìdo, strisciante. Alcuni accordi di piano e poco altro fanno da sottofondo ad una sorta di nenia di Myes Kennedy (vocalist) che sembra preludere ad una song dei Tool o degli A Perfect Circle. Qualcosa sta per succedere... Insomma, ci si carica a mille, e finalmente si arriva ad una potente riff, e da lì ci si inoltra in una canzone trascinante, in cui la band dispiega la sua potenza di fuoco. Ottimo quindi! Ma se da questa traccia (probabilmente la migliore dell'album) ci si poteva aspettare grandi cose sul prosieguo, poi si rimarrà delusi... Le promesse/premesse di innovazione si fermano qui.

La sperimentazione. Manca quasi completamente. Escludendo l'opener e la closer ("Words Darker Than Their Wings"), "niente di nuovo sul fronte occidentale". La struttura delle canzoni è sempre simile a sè stessa, non osano nulla di ardito. Ogni tanto la successione e ripetizione delle parti (verso, chorus, bridge, assolo) sembra veramente venire da uno stampino...  La batteria (di Scott Philips) non aggiunge nulla alla presenza nei lavori precedenti (anzi, si nasconde un po', e non regala nessuna perla alla Metalingus o White Knuckles, per capirsi). Il basso c'è (Brian Marshall) ma non si prende mai la scena. Magari alcuni chiamano questo "coerenza" coi lavori precedenti. Io lo chiamo piuttosto declino dell'ispirazione, della capacità di ricercare e sperimentare musicalmente.

Il duo. E' inutile dire, in quanto ovvio, che gli Alter Bridge sono Myles Kennedy + Mark Tremonti (chitarrista). Ed è proprio da loro due che ci si poteva aspettare di più. Myles dà prova (ancora una volta, se ce ne fosse bisogno) di grandi capacità canore. Tecnica ineccepibile, interpretazione buona, e lyrics sufficienti. Ma dov'è quel "di più", quelle aspettative di gloria che avevamo riposto in "AB III". Non c'è, non ci sono. Troviamo delle tracce in cui si muove veramente bene ("Wonderful Life", "All Hope Is Gone" e "Fallout" ad esempio) ma chicche non ce ne sono ( a parte qualche "acutino" difficilmente ripetibile live). E Mark Tremonti, vero leader (non appariscente) della band? Anche lui "fa il suo dovere", ma nulla più. Anzi, è forse proprio lui a deludere di più in questo album. Dove sono le "Intro alla Tremonti", il suo marchio di fabbrica? O i suoi gustosi arpeggi? Le sue potenti ed efficaci riff? C'è un qualcosina di tutto questo, ma non ad un livello sufficiente. Persino gli assoli sono carenti, un po' grezzi, poco ricercati, e la gran maggioranza di essi sono pentatonici (per uno che pubblica DVD istruttivi...)!

Questo album è carente di canzoni di alto livello, ossia che si distinguano per sound, melodia, potenza, sperimentazione ed efficacia. Al loro tempo lo sono state "Find The Real", "One Day remains", "Metalingus", "The End Is Here" (ad esempio) nel primo album. E "Brand New Start", "Before Tomorrow Comes" e "Blackbird" (ad esempio) nel secondo. Questo terzo album non presenta gemme di tale livello.

 Insomma, è una vera, forte, genuina ed innovativa ispirazione che manca a questo album. Se dobbiamo salvare qualcosa, direi "Slip To The Void", "Isolation" (la canzone più heavy), "Show Me A Sign", "Fallout" e "Coeur d'Alene". Il resto non spicca di certo.

 Per onestà, va detta una cosa, però: AB III è certo un prodotto migliore del 90% del rock che si trova in giro di questi tempi. Questo è sicuro. E per questo degli Alter Bridge sentiremo ancora parlare nei prossimo anni, e vedremo la loro popolarità crescere. Ma in cuor nostro spereremo ancora che ritrovino l'ispirazione per poter regalarci soddisfazioni migliori.

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