Avete presente quando un gruppo raggiunge la maturità? Quando la collaborazione e la comunione di intenti tra i componenti della band si esprime ai massimi livelli, ricordandoci quella vecchia formula della sinergia, secondo la quale la somma del tutto è più della semplice somma dei singoli (ok, mi sono fatto la domanda e risposto da solo..).

Bene, se non avete ancora le idee chiare, vi presento AB III, la terza fatica degli Alter Bridge, in uscita oggi, il 12 Ottobre 2010.

In questo caso, Mark Tremonti, Scott Phillips e Brian Marshall erano già a buon punto, avendo suonato insieme per lungo tempo con i Creed. Non a caso il primo album, One Day Remains, fu una sorpresa per molti, pur venendo scritto e musicato dal "solo" Tremonti. In Blackbird già si notò una collaborazione più stretta con Myles Kennedy, cantante dalle doti straordinarie alla voce ma, a quanto pare, dotato di notevole talento anche alla chitarra ed alla composizione.

AB III è il risultato di questo affiatamento crescente, il picco di una parabola che si spera possa crescere ancora. Per ora però godiamoci quello che abbiamo.

L'album si compone di ben 14 pezzi e sappiamo da loro stessi che hanno dovuto tagliarne diversi (dei quali alcuni ritroveremo come "bonus track" nelle edizioni straniere, come spesso accade) e ciò dimostra ancora una volta l'indifferente lavoro svolto in sede di composizione e registrazione.

L'ouverture si ha con il pezzo "Slip to the Void", una novità rispetto ai primi due cd dove il primo posto è sempre toccato alla classica botta di adrenalina; qui invece ascoltiamo la soave voce di Myles accompagnata da un accenno di chitarra, cantare dolci note per poco più di un minuto, salvo svilupparsi in un crescendo che ci restituisce quello che cercavamo: riffs pesanti ed articolati, batteria presente ed incisiva e note alte degne di un tenore.

Nonostante il primo pezzo si sviluppi in chiave decisamente hard rock, il pugno nello stomaco ci arriva con il secondo pezzo, nonchè primo singolo di questo album "Isolation". E' vero che ormai la classica formula di composizione degli Alter Bridge ci è ben nota, con ritornelli orecchiabili, riff che si alternano alle parti cantate, variazioni o, che dir si voglia, bridge, sempre molto incisive (che sembrano quasi dare l'impressione che il pezzo sia costruito attorno a quei pochi secondi di climax) spesso separate da assoli poderosi; qui però notiamo qualcosa di diverso, di nuovo: durante il pezzo avvertiamo dei riff con una forte presenza di chitarra e batteria che sembrano stonare con il resto, ma che in realtà si incastrano perfettamente interrompendo la monotonia e, se vogliamo, la banalità di un pezzo classico. Questa è una ricerca del nuovo che troverete in tutto l'album e ho veramente apprezzato. Dimostra che Tremonti e soci credono nelle loro potenzialità ed in quello che fanno, al punto da prodursi da soli il disco, salvo poi trovare un'etichetta per la distribuzione (e mi meraviglio di come facciano tanta fatica nel trovarla.. c'è ancora gente che non crede in loro?!?).

L'album va avanti con una ballad introspettiva, "Ghost of days gone by". Uno di quei pezzi come sanno fare loro, capaci di farti pensare ad occhi aperti, senza però dimenticarsi di arrangiarli a dovere, con un picco toccato dall' "I don't wanna die" urlato a squarciagola da Kennedy, su note che lui e pochi altri possono toccare e con una conclusione che ti blocca il cuore per un millesimo di secondo.

"All hope is gone" prosegue sulla stessa scia del precedente, con variazioni che, ci sembra di aver capito, ci sorprenderanno per tutti i 65 minuti del cd. Anche qui, quando meno te l'aspetti vieni schiaffeggiato a mano aperta mentre la voce prosegue su un delicato motivo, proseguendo con un assolo che non ha nulla da invidiare alle parti vocali di Myles in quanto a musicalità.

Ma non iniziamo a sentire la mancanza di un po' di quel sano hard rock che ci fa muovere la testa a tempo di cassa e rullante? Pronti via ecco "Still Remains" ed il suo riff iniziale.. aggressivo, presente e preponderante per tutta la canzone; qui Mark vuole farsi sentire e, come se non bastasse, lo viene a ribadire nel bridge e nel finale.

"Make it right" è un pezzo un po' atipico. Di base è un pezzo classico che appare molto melodico; eppure, il cantato del ritornello non è così musicale ed i riff di intramezzo sembrano stonare con l'intento iniziale, per non parlare dell'aggressività di intermezzi vari e del finale. Mi ha dato l'impressione di non essere posto al centro dell'album a caso; è un pezzo che vuole dare più di quello che sembra a primo ascolto. Sembra un giusto spartiacque prima di una ballad più classica come "Wonderful life" dedicata ad un amico.

Se proprio ora ci aspettiamo un pezzo più incisivo e musicalmente meno articolato, eccoci accontentati con "I know it hurts"; qualcosa di semplice ed efficace, degno di essere il terzo singolo dell'album.

A parer mio però, la qualità di questo lavoro viene fuori in pezzi come il successivo "Show me a sign". Un brano che segue la scia di "Make it right", che fa valere tutta la voglia di sperimentare, di provare e trovare con successo qualcosa di nuovo. La voglia di alternare pezzi più classici a novità è chiara e noi non possiamo far altro che apprezzare lo sforzo (e la riuscita, senza alcun dubbio). Chiunque prenda in mano uno strumento con l'intenzione di scrivere qualcosa sa bene quanto sia "semplice" lasciarsi andare a strofa e ritornello e quanto sforzo richieda invece l'originalità e l'atipicità.

"Fallout" ce la godiamo, grintosa e melodica con un gran bel guitar solo. Pezzi come il successivo "Breathe Again" non vanno presi come una pausa nell'album, perchè non ne troverete. Anche questo parte come una ballad e si evolve in un crescendo di chitarre e voci con un acuto spaventoso di Myles.

"Coeur d'Alene" è un altra novità. L'arrangiamento e le sonorità non sono tipiche degli AB: raramente abbiamo sentito la batteria di Scott proseguire in groove senza gli altri strumenti, con il brano che si prende una pausa subito dopo un poderoso riff iniziale a due chitarre. E' un pezzoo che mi ha molto emozionato, senza dubbio uno di quelli che senti il bisogno di riascoltare per comprendere a fondo.

Ci avviamo alla conclusione e "Life must go on" è l'ultima ballata che incontriamo. Volendo sarebbe un giusto pezzo di chiusura, se non fosse per il fatto che le testoline di Tremonti e Kennedy hanno partorito una genialità: "Words darker than their wings", il secondo singolo dell'album. Non ve ne siete accorti, durante i 13 pezzi precedenti, la presenza più importante della voce di Mark (così come delle chitarre di Myles, ma questa non è una novità)? Ebbene, qui non potrete farne a meno, perchè i due si alternano nella strofa e cantano insieme il ritornello, salvo riservarsi il giusto spazio per ciascuno dei due in quello che fanno meglio: assolo del chitarrista ed acuto meraviglioso del cantante alla fine del pezzo. Un capolavoro. Un pezzo da mettere accanto a "Blackbird" e "Broken wings" nella top 3 dei migliori brani della band.

Se non avete mai letto del bassista, Brian Marshall è solo perchè svolge così egregiamente il suo lavoro di supporto alle due chitarre e di sezione ritmica con la batteria da dare l'impressione di non esserci. Il pregio dell'essenzialità.

Potrei essermi dilungato sin troppo, ma vi garantisco che AB III merita questo ed altro. Se non avete mai ascoltato questo gruppo però, suggerisco di farlo in ordine cronologico, dal 2004 ad oggi, in modo da apprezzarne pienamente l'evoluzione e la crescita che ancora una volta mi hanno lasciato basito. Non è facile affermare (esprimendo un giudizio assolutamente soggettivo) che questo sia l'album migliore degli Alter Bridge, perchè le emozioni di "One Day Remains" non sono facili da scardinare. Sicuramente però rappresenta l'apice musicale (che non saprei neanche collocare perfettamente in un genere, cosa che personalmente odio fare) a cui difficilmente la maggiorparte dei gruppi contemporanei può paragonarsi, ma soprattutto un punto a cui pochi possono sperare di arrivare.

Da avere assolutamente.

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