A mio padre
Sono quarant'anni finiti che mio padre è morto, avevo quindici anni e in famiglia abbiamo vissuto fino all'ultimo giorno l'agonia di un malato terminale di cancro. Lo accudivamo io e mia madre, io già ero alto e forte e non avevo problemi a sollevarlo quando lo pulivamo. Pesava sempre meno. Io che prendevo in braccio mio padre, mi ricordo la tenerezza e rassegnazione di quei momenti.

A parte l'oggettività della situazione drammatica, ricordo gli occhi di mio padre che in alcuni momenti, lucidissimi, comunicavano la sua angoscia e dolore di doversi staccare definitivamente da noi, era cosciente che sarebbe morto da lì a poco. Adesso che anche io sono padre capisco la sua disperazione.

Ero andato nel primo pomeriggio a fare una visita alla schiena e mi aveva accompagnato mia zia, ed è lei che mi comunicò quel mercoledì l'inevitabile fine a malincuore, dopo che io insistevo a voler andare agli allenamenti giornalieri di pallavolo. Frastornato non dissi una parola e tornammo mesti a casa. Rimasi nei giorni successivi, compreso il funerale, distaccato dove non provai quel dolore omologato, dove però c'era un buco profondo che mi accompagnò per tanto tempo.

Mio padre era una persona normale e a parte le strillate, le punizioni, le botte (meritate) in qualche caso, non ti colpevolizzava mai e non ti attaccava negatività dall'albero genealogico. Dopo la giornata lavorativa se ne tornava a casa e metteva direttamente il pigiama e si sdraiava sul letto e leggeva i suoi libri di fantascienza Urania e tutto quello che gli capitava a tiro. La sua "arrendevolezza" è stata per me il suo migliore insegnamento.

Era quello che se c'erano tre cioccolatini e si era in quattro lasciava agli altri il dolcino, era accomodante e mai testardo. Mi ricordo in vacanza, con le sua maschera, tubo e pinne che andava vicino agli scogli e si immergeva a prendere le cozze. Io avevo il terrore di quegli scogli sommersi. E poi le remate in canotto dove andavamo al largo a fare il bagno al mare. Una vita semplice con un solo stipendio, in affitto, e gli ultimi quattro, cinque giorni del mese che si mangiava solo pastasciutta che i soldi erano finiti.

Già la malattia anni prima si era manifestata violenta e ho sprazzi di ricordi che lo andavamo a trovare in ospedale, poi la malattia a detta dei medici si era inspiegabilmente fermata. Poi un anno prima della fine misero in vendita l'appartamento e ci fu offerto di comprarlo ma non avevamo una lira da parte e qualcun'altro lo comprò, e questo qualcun'altro dopo poco ci sfrattò.

Penso che sia stato questo stress a fare ripartire su mio padre la malattia misteriosamente congelatasi anni addietro. A maggio le prime avvisaglie, le analisi, le sentenze, la chemio, il calvario che in cinque mesi si risolse per sempre.

Per forza di cose non andammo in vacanza, andavamo sempre due mesi nella casa dei nonni nelle Marche e mio padre si giostrava le ferie facendo avanti e indietro. Quell'anno tutto fu torrido, come il Ferragosto in città. Mia madre faceva i salti mortali per dissimulare davanti a noi una situazione difficile, specialmente per mia sorella dodicenne, molto attaccata a papà. Mia madre... non so come non abbia fatto a crollare.

Mi ricordo mesi prima uno dei pochi momenti dove mio padre non l'ho visto come padre ma come persona con una vita interiore, che ha dei sentimenti, che ha delle gioie. Nella fattispecie il momento è stato quando alla radio passò la canzone "1950" di Amedeo Minghi e dove mio padre se ne uscì con delle parole molto belle e di come lo emozionava questo pezzo malinconico evocativo ed io per la prima volta vedevo davanti a me l'essere umano che era mio padre che mi parlava dal cuore.

Ho il ricordo sempre vivissimo di quando da piccolo mi portò con lui nell'ufficio dove lavorava. In qualche musicassetta registrata c'è ancora la sua voce, sull'atlante che spessissimo sfogliavamo insieme ci sono delle scritte con la sua calligrafia. Mi ricordo che sapevo imitare la sua firma abbastanza bene quando la riproducevo sulla giustificazione, dopo aver fatto sega a scuola. Il primo anno di superiori al primo quadrimestre presi cinque in geografia e l'appunto pacato di mio padre fu solo che "se si prende un'insufficienza in geografia (dove non c'è niente da capire) significa che uno non l'ha studiata"...

Oltre a disegnare si divertiva a fabbricare piccoli oggetti in legno, mi ricordo un'automobile anni '30 da lui costruita che non ho più trovato. Ho invece una scatolina a forma di scrigno che risplende di lui.

Poco tempo fa l'ho sognato. È stato un incontro solenne dove non c'era dolore. So che mi ha protetto tutti questi anni. Gli ho parlato dei suoi nipoti e di come sarebbe stato contento di spupazzarseli. Stava bene, ci siamo salutati ed ero felice.

"La radio trasmetterà
La canzone che ho pensato per te
E forse attraverserà
l'oceano lontano da noi".
Mi manca...

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