E' vero: il genere Viking è vecchio e stantío. Nessuna band riesce più ad essere originale e a proporre qualcosa di veramente alternativo per le orecchie ormai esauste di chi ha iniziato magari coi Bathory, e oggi si trova a dover fronteggiare un'armata infinita di gruppi che sembrano quasi divertirsi a disorientare i fans, comminando melodie semplici da piantarsi in testa con il Black Metal, per esempio, o con l'Heavy, o, infine, con il Death.
E' vero, il Viking è morto, come è morto il Metal e come è morto il Rock'n'Roll. Pace all'anima loro.
Ma, infine, chi se ne frega di tutti questi assiomi se si riescono ad apprezzare gli Amon Amarth?

Band abbastanza "quadrata" e con obiettivi e derivazioni abbastanza chiare, passando per vicende alterne e per lavori eccellenti e più o meno buoni, oggi si può dire che sia, forse e senza bestemmiare, il simbolo e l'emblema di quella potenza sonora che non fa prigionieri e che fa dimenticare in un botto di trovarsi di fronte ad una riproposizione, più o meno palese, di temi già detti da altri. Ma se così è, e se non si apprezza la continuità sonora e quello che ne viene di questa band, allora di converso si dovrà dare atto agli Amon Amarth del loro talento innato nel creare, volta per volta, canzoni sempre cazzute e potenti, ben calibrate e che di sicuro faranno la gioia di chi ne ha dimestichezza.

Questo "Twilight of Thunder God" di certo non sarà un disco che cambierà la storia, e nemmeno mai farà cambiare parere a chi non ci vede null'altro che pacchianeria, o modestia, o addirittura noia. Sarà un disco che in molti ameranno e in tanti ignoreranno.
La sostanza non cambia. Quella secondo la quale questo è un album che ha tutte le carte in regola per regalare momenti davvero esaltanti a chi cerca i classici temi del genere a cui gli Amon Amarth appartengono: un buon equilibrio di epica, potenza, melodia e decorsi vichinghi vari. Il tutto condito, quì, ad un amore viscerale per gli Slayer d'annata in particolare.

Rispetto a "With Oden On Our Side" la direzione stilistica non è poi cambiata molto, ma chi li conosce capisce bene che non è questo che si cerca negli Amon Amarth. Le canzoni sono tutte ben fatte, ben prodotte e non mancano di raggiungere l'obiettivo percui sono state composte, e cioè "spaccare". In questo, il gruppo non è secondo a nessuno, e non lascia un attimo di tregua a chi li ascolta, sin dalle prime note di "Twilight of Thunder God" che, per inciso, si pregia della collaborazione di Roope Latvala, già nei Children of Bodom e nei Sinergy, passando per "Free Will Sacrifice" e arrivando a "Guardians of Asgaard", primo vero gioiellino di questo disco, che invece stavolta si avvale della collaborazione di Lars Goran Petrov (se non sapete chi è non è affar mio: informatevi, perdio!) che nel chorus della canzone si affianca al growl raschiato di Johan Hegg, rappresenta l'esempio eccellente e lampante di che cosa vogliono essere gli Amon Amarth alla pubblicazione del loro settimo lavoro. In questa canzone, che è un pò il manifesto dell'intera composizione globale, si alternano in fasi sovrapposte tutte quante le peculiarità della band. Quelle che ho elencate prima, e che di certo ribadiscono bene il concetto secondo il quale per essere "tosti" bastano poche, semplici cose, ma bene assortite e certamente tenendo ben presente il talento e l'attitudine. Tutte  quelle cose che quì, lo ribadisco ancora, non mancano. Le chitarre vomitano accordi su accordi formando un muro di suono impenetrabile e granitico. La batteria macina battute su battute senza perdere un colpo, ed anzi, forse proprio il lavoro eccelso di Fredrik Andersson riesce certe volte a trainare tutti quanti gli altri componenti, come, per esempio, in "Varyags of Miklagaard", dove l'attacco selvaggio in prima battuta, fa da preludio a una base ritmica dal tono cadenzato e pesante, divincolandosi infine in un coro da apprezzare.

Prima parlavo di "slayerismi", o quantomeno di sentori più o meno marcati tra l'inizio e la fine del cd. Ebbene, una su tutte: "Tattered Banners and Bloody Flag" ne è forse l'archetipo, oltreché, a parere di chi scrive, il brano meglio riuscito del lotto. Tutta la struttura sembra proprio ricalcare quanto gli Slayer avevano precorso in passato, con maggior sentimento e cattiveria se si potesse, e quì, la parte cantata da Hegg è anche la migliore e meglio accoppiata con la base sonora, passando alternativamente da un growl bestiale, furioso e sempre cavernoso, ad uno scream selvaggio e sporco, che non di certo può paragonarsi a nulla se non alla sua ugola. Naturalmente, il tutto imperniato su uno schema micidiale di epica che va facendosi via via più pronunciato verso la fine di brutalità e potenza melodica.
Ma le sorprese non sono finite quà. Perché il disco continua, muovendosi sempre su coordinate standard e ben collaudate, immettendo, volta per volta, sempre nuovi e diversi elementi, che vanno dalla struttura vorticosa con annesso coinvolgimento dell'elettronica di "The Hero", altro piccolo e furioso gioiellino, sino agli esperimenti quasi Heavy di "Live for the Kill", che si sciolgono a tre quarti con un'intermezzo dolce e triste eseguito dagli Apocalyptica, che termina d'improvviso con una sfuriata assassina e dolorosa.
Alla fine, a ricapitolare tutto poi, c'è "Embrace the Enedless Ocean" la canzone più lunga della scaletta, dotata di una sezione strumentale affascinante ed oscura, con assoli di chitarra melodici ed impastati all'atmosfera quasi sacrale che si è voluta creare. Forse il risultato finale parrebbe dover stonare con tutto il resto, ma non è così. Anche questo sono gli Amon Amarth, e si potrà, io credo, amare solo questo brano e trascurare tutti gli altri se fosse necessario. Non cambierebbe nulla. La bellezza emanata dalle note della band in sei minuti e rotti è abbagliante, e senza remore lo dico.

Non ho altro da aggiungere, se non il pregarvi di ascoltare questo disco. Ovvio, solamente a chi interesserà e avrà più passione che preconcetti nel proprio armamentario. Io sono sicuro di trovarmi in buona compagnia quando ascolto gli Amon Amarth.
Del resto, l'ho detto prima: chi se ne frega.

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