Finalmente. Dopo oltre tre anni di metal e quattro o cinque dischi ascoltati al giorno, prendono vita le mie più oscure e fantasiose perversioni musicali. E cioè l'unione dei generi estremi per antonomasia, il black metal e il grindcore. Non ho (ancora per poco) ascoltato altri dischi degli Anaal Nathrakh, ma questo "In The Constellation Of The Black Widow" è per me il famoso fulmine a ciel sereno, un disco che mira a diventare un punto di riferimento per i miei ascolti futuri. Dopo il primo brano ho esclamato esaltato completamente "Cristo, ma allora esiste davvero una roba del genere!". 

Il disco in questione già dalla copertina (un dipinto di Gustav Dorè) esprime il mood catacombale a cui andremo incontro, ma in realtà è molto più che black/grind. Praticamente ogni sfaccettatura del metal estremo è qui presente: i rumori e le voci filtrate che fanno tanto industrial -anche se qui siamo più dalle parti degli Aborym- aprono le danze, un decadente riff doom fa quasi da introduzione rituale, il titolo dell'album viene sussurrato... Inizia l'inferno. Perchè tutti i demoni sono qui sulla Terra, in particolare due, i componenti di questo gruppo, che a vederli non sembrano aver nemmeno lontanamente a che fare con la scena metal. Non so quanto in questo caso possa essere appropriato, ma l'abito ancora una volta non fa il monaco.

La titletrack continua con sfuriate black e urla che rimandano a quei mostri assassini degli anni nostri chiamati Pig Destroyer. Di una perfezione incredibile l'epico intervento in clean vocals, che trae la sua forza dall'immane contrasto con la sezione strumentale. Si prosegue su questi binari, tra pezzi più corti incentrati sul blast beat e altri in cui le componenti death nel rifframa e quella grind nel growl riescono a distruggere ogni cosa. Vagamente "carcassiana" "The Unbearable Filth", mentre "So Be It" è swedeath veloce e ficcante, così come l'incipit di "Satanarchist", a dire il vero queste ultime due le reputo le meno riuscite del lotto, ma sarà per una mia atavica avversione per il genere. La produzione impeccabilmente grigia e moderna fa sì che il disco pur suonando in un certo qual modo grind, non cada nel caos, riuscendo a mettere in luce sfumature thrash qua e là.

A questo punto forse è superfluo dire che è un disco DA AVERE di un gruppo più unico che raro. Un appunto per i puristi trve black norsk qualcosa: qui c'è la drum machine, ma se non ve l'avessi detto, non credo che l'avreste capito.

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