Gli Anathema sono uno di quei (pochi) gruppi che prediligo a tal punto da trovarmi sempre in difficoltà ogni qualvolta mi viene chiesto quale sia il loro disco che preferisco. Indecisione simile la provo anche con i Pink Floyd, i Novembre e qualche altro, ma se proprio devo scegliere un termine di paragone esso è con i quattro di Cambridge. Parlando di loro mi sono sempre sentito un po' incompreso nel citare come mio album preferito "Animals", un disco piuttosto ostico da ascoltare e che non riesce a entrare nelle corde di tante persone. Tornando agli Anathema, non senza qualche difficoltà individuo la loro opera che maggiormente preferisco in quel capolavoro che risponde al nome di "Alternative 4". In questo album la band guidata dai fratelli Cavanagh svolta decisamente su uno stile meno doom (tipico del primo periodo), meno elettronico/psichedelico ("Eternity"), virando verso una specie di gothic metal dai tratti tutti suoi. E' metal certo, ma è gothic solo in parte, dal momento che in esso brillano anche elementi ambient, alternative (appunto), rock più canonici (derivanti non a caso dagli ultimi Floyd) e altri. Ciò che emerge è uno dei dischi più raffinati e dolci della discografia anathemiana, un album rarefatto e violento quando serve, sentimentale, emozionante, psicologicamente profondo e toccante, pieno di tristezza, sofferenza ma anche con barlumi di luce e speranza. Dimenticate il growl e i ritmi snervanti e lenti, dimenticate la psichedelia e le fughe nello spazio, qui c'è solo introspezione, ricerca del proprio io, c'è un guardarsi allo specchio mettendo a nudo sé stessi.

Per capire di che cosa stia parlando ascoltate "Shroud Of False": poche note di piano, versi sussurrati da un Vincent ispiratissimo: "we are just a moment in time/a blink of an eye/a dream for the blind/visions from a dying brain/I hope you don't understand". La mente corre veloce a "The Wall", "Wish You Were Here" e a "A Momentary Lapse Of Reason", e mentre la traccia sfuma nella successiva ci si rende conto che stiamo per imboccare un tunnel dai quali, con ogni probabilità, si potrà uscire un po' feriti e dolenti, ma di sicuro arricchiti dentro.

Seppure il disco presenti tematiche e ritmiche talvolta strutturalmente complesse, colpisce per la sua immediatezza di ascolto. "Fragile Dreams" conquista sin dal primo ascolto, con la batteria in crescendo e le chitarre gementi che esplodono in un riff veramente da brividi. La traccia è sicuramente una delle più belle mai scritte dal gruppo, è in grado di raccontarsi per intero già dopo un paio di minuti, ma è con il bellissimo cantato che la canzone assume la sua forma completa: un lamento disperato eppure lucido, amareggiato ma dall'incedere sicuro e cinico. Da applausi.

"Empty" accresce la sensazione di facilità di ascolto e di immedesimazione della precedente. I territori qui sono più rock oriented, con sicure sfumature gothic rock (soprattutto nelle tastiere e in certe parti di chitarra), mentre non traspare affatto dolcezza ma solo rancore e frustrazione nei versi di Vincent, mitigati solo in parte da un break di piano che anziché alleviare la tensione la accresce.

Segue la funerea "Lost Control". Seppure manchi la pesantezza doom, il dolore e la desolazione psicologica sono perfettamente rappresentate dal piano delicato e dalle chitarre finalmente pesanti e titaniche, sulle quali si posano come leggeri fiocchi di neve le sconsolate parole del leader della band ("I can't tell you why I'm breaking down/do you wonder why I prefer to be alone?/have I really lost control?"). Chi conosce gli Antimatter sa quanto devono a "Alternative 4", e le prove si trovano anche soltanto nella seconda parte di questa "Lost Control", dai toni dimessi e più riflessivi rispetto alla prima metà.

Si giunge poi a quello che senza ombra di dubbio ritengo IL CAPOLAVORO degli Anathema, "Inner Silence". Una traccia brevissima, sei versi diluiti in appena tre minuti, dominati dalle più forti emozioni che abbia mai provato ascoltando una canzone. E' la storia più comune al mondo, un amore spezzato a causa della morte: quando il silenzio si avvicina e il giorno sta per finire, quando la tua luce vitale comincia a affievolirsi e l'amore muore dai tuoi occhi, solo allora riuscirò a rendermi conto che cosa sei stata per me. Il testo è tutto qui, sorretto da un pianoforte piangente e da delle chitarre distese e eteree, con la voce di Vincent che si staglia verso luoghi infiniti della memoria, andando a ricucire tra loro ricordi svaniti e proiettandosi verso l'eterno.

La seguente title track è un'altra punta di questo album. Una marcia nera e lenta, una voce alienante, cupa e malvagia nella sua sussurrata ma decisa cattiveria, delle chitarre distorte e quanto mai taglienti, sono tutti elementi costitutivi di questa ipnotica canzone, che di sicuro rappresenta anche l'apice più dolente di tutto il disco, il fondo dell'abisso, dal quale però non si riemerge, ma ci si può solo spostare verso un grigiore più malinconico e meno spettrale.

"Feel" e "Destiny" sono le ultime due ottime tracce dell'album. La prima suona più come una presa di posizione, un'esortazione a cercare qualcosa per cui vivere, e anche la voce di Vincent ci conferma che qui i toni sono più autunnali e portatori di qualche flebile speranza. La conclusiva "Destiny" suona invece come una ninna nanna, un addio sussurrato prima di addormentarsi stanchi dopo le varie peregrinazioni psicologiche indotteci da questo splendido disco.

Questo album va provato. Non è detto che piaccia a tutti, ma quelli che riusciranno a entrare in sintonia con esso ne rimarranno folgorati e non ne potranno fare a meno. Un esempio di eclettismo, creatività e sentimento che andrebbe seguito da ogni band.

 

Una piccola nota: la versione rimasterizzata contiene quattro tracce extra, tre della quali cover di tre tracce contenute nello stupefacente "The Final Cut" dei Pink Floyd (o meglio, di Roger Waters). E' incredibile quanto la voce di Vincent somigli a quella di Roger, non tanto nel timbro quanto nel tono, recitato, commemorativo e polemico tipico del bassista dei Floyd. Da segnalare senza dubbio la fantastica "Your Possible Pasts", veramente una cover ottimamente realizzata che, ne sono certo, Waters avrà apprezzato. Ultima nota di merito infine anche per la rilettura di "Better Off Dead" dei Bad Religion, rifatta a due voci (machile e femminile) e resa ancora più toccante e spiazzante, una vera sorpresa.

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