L’ormai ottantacinquenne Mingardi è un valido bluesman bolognese della primissima ora, già in pista a fine anni ’50: voce solida, preparazione e passione per il rhythm&blues indubitabili. Per campare meglio, comprarsi casa e mantenere ex-mogli, dagli anni ottanta ha messo in secondo piano le sue radici musicali e fatto di tutto e di più per entrare nel giro del cantautorame italico, quello da Arena di Verona piena di scimmie urlanti per serate Mediaset e la Hunziker o qualche altra gnocca come presentatrici. Ha partecipato più volte al Festival di Sanremo, ha cercato di fare televisione il più possibile, si è adattato a interpretare composizioni altrui e a cedere sue composizioni a squali sempre in caccia come Mina ed altri, spesso diventando melenso e “serio”, lui l’ironia fatta persona.

Questi suoi sforzi nazional popolari hanno sortito modesti risultati, nel senso che non ce l’ha fatta a diventare un big del pop italiano, restando ad un livello intermedio. Come poppettaro italico è soprassedibile, come bluesman è rispettabilissimo anche se ovviamente del tutto derivativo; dove è (era) veramente forte, ahilui, è in una inevitabilmente angusta nicchia musicale, vale a dire la canzone comica in dialetto bolognese. A cazzeggiare è un drago, e l’ho toccato con mano in diversi suoi concerti. Magari nel privato potrebbe essere un grande stronzo, ma sul palco a far ridere in bolognese, sostenuto da un proprio ricco repertorio di spassose canzoncine situazionali, mette a rischio gli addominali… C’è da tenersi la pancia dal ridere, ma chiaramente bisogna conoscere quel dialetto, ricchissimo di parole autoctone e quindi avere a che fare, o magari averlo avuto a lungo nella vita anche se ora non più (come me), con l’Emilia Romagna.

Premesso questo andiamo con questo suo esordio discografico sulla lunga distanza, datato 1974 (a livello di singoli a 45 giri era in pista sin dal 1962). I primi anni di pubblicazioni in forma di LP sono effettivamente tutti dedicati a farsa ed ironia in salsa felsinea… Il suo primo disco “serio” verrà fuori solo nel 1985, come sesto di carriera.

Domina il lotto delle dieci canzoni (talvolta con parti recitate) presenti in quest’album il capolavoro “A io’ vest un marzian”. La frase riferita alla descrizione del marziano in questione che resta scolpita, più che nel mio cuore, nella mia pancia screpolata dai conati di risa, è:

L'avèva trai* gamb, ónna piò curta (*trai = tre)

Sotili sotili pareven grissén

Con dòu stèva in pì l'ètra éra mòrta

Pròpri cumpagna* l'usèl ed Sandrén” (*cumpagna = come)

Chissà il suo amico Sandrino (se persona reale, e con quel nome) come l’avrà presa a suo tempo… Poi ci sono altri episodi quasi altrettanto esilaranti come “Azidant a cal dé”, “Dal tajadel” e soprattutto “Gig”, nel senso di Gigi, una convinta esaltazione di una specie di Fonzie bolognese, dotato e svettante in tutto meno che in scolarizzazione e cultura; infatti il suo motto preferito è:

Nessuno siam perfetti, ciascuno abbiamo i suoi difetti”.

Elenco e tracce

02   Ho Sposato Una Femmina Francese (00:00)

03   Saponetta (00:00)

04   Azidant A Cal Dè (00:00)

05   Dal Tajadel (00:00)

06   Al Leder (00:00)

07   Un Fat (00:00)

08   Anniversario (00:00)

09   A L'Ho Vest Un Marzian (00:00)

10   Immaginares (00:00)

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