Ha preso il suo strumento preferito, il pianoforte, e lo ha ridotto all'essenziale. Materialmente. Via la tastiera, via i pedali, via persino i martelletti; è rimasto l'"innenklavier": il telaio, la cassa, e - al centro di tutto - le corde. La sperimentatrice tedesca Andrea Neumann (1968, Friburgo) è in grado così di manipolare sin dall'origine i suoni del piano, per poi amplificarli e mixarli, ottenendo pezzi minimalistici, sottilmente in bilico tra elettronica astratta e musica concreta. Molto disponibile e cordiale, ci ha illustrato la sua poetica...

Dove e quando - durante i suoi studi di musica classica e jazz - ha incontrato la prima scintilla che l'ha indirizzata verso il tipo di sperimentazione che adesso sta brillantemente esplorando?
Durante gli studi di pianoforte, avemmo una lezione chiamata "methodik". Agli studenti, che normalmente passavano tutto il giorno a esercitarsi interpretando pezzi classici, fu chiesto di suonare il piano senza spartito. Suonare toni, come creare immagini. Con un approccio strano: quando e perché tocchi un tasto? E quale intima immaginazione ti fa ricercare quale suono?
Fui sorpresa di quanto la cosa mi piacque, e quindi seguii questo approccio, spostarmi dai tasti del pianoforte alle sue corde (più possibilità di creare suoni) e poi eliminare la struttura esterna (più comodo raggiungere le corde).

Lei ha lavorato con molte persone diverse, sia nel collettivo Phosphor sia al di fuori di esso (Toshimaru Nakamura, Lionel Marchetti, Radu Malfatti tra gli altri); e ha anche fatto musica da sola. Quali sono le differenze tra una collaborazione e un lavoro solista? Quale preferisce?
Lavorare in collaborazione con altri musicisti, e a lungo, per me è molto importante, essenziale. Nel tipo di musica in cui mi muovo, non abbiamo regole ben definite, o gerarchie (compositore-interprete, direttore-interpreti). Nelle collaborazioni dobbiamo trovare/inventare la nostra specifica maniera di sviluppare musica. Ciò si basa sul dialogo, sul rispetto delle differenze, sul fare in modo che la voce di ciascuno venga considerata.
Mi piace anche lavorare da sola. Durante il processo di sviluppo della musica, non ci sono feedback esterni o commenti, non c'è nessuno da convincere - solo "feedback interni": essere critici con sé stessi, mettersi in comunicazione con diverse parti del proprio io, prendersi tutta la responsabilità di ogni decisione. Scoprire quello che vuoi veramente ascoltare.

La musica d'avanguardia, per definizione, non è per le masse. A me piace vederla come una forma d'amore, estrema e auto-ipnotica, per l'arte. Cos'è l'arte per lei? Ci sono rapporti tra il suo minimalismo e altre forme d'arte (pittura, letteratura)?
"Auto-ipnotica" - posso capire quest'espressione (anche se implica che possa essere soddisfacente più per l'artista che per l'ascoltatore): è "necessario", prima di tutto, che la mia musica mi soddisfi; poi spero che possa voler dire qualcosa anche per altre persone.
L'arte per me è trovare un modo di esprimere la propria prospettiva di sguardo sul mondo. Sul minimalismo: mi piace la concentrazione. Concentrarmi su pochi suoni. Se riesco a trovare concentrazione suonando musica complessa e ricca, lo faccio, pure. Quindi non c'è nessuno scopo/ideale nell'essere minimalista.

A cosa si sta dedicando adesso e quali sono i suoi progetti futuri?
Nell'ultimo anno ho pensato molto alle possibilità di superare la forma del mio strumento. Prima mi ero abituata a creare un mondo dentro la musica. Poi è apparso il desiderio di trovare un modo per collegare la musica a un qualche "mondo esterno". Il primo tentativo è stato con un pezzo di un'amica (la coreografa Adeline Rosenstein), che comprendeva descrizioni di suoni (io dovevo trovare il suono in base alle sue descrizioni poetiche) e parole/racconti che dovevo recitare durante l'esecuzione. Il "mondo esterno", in questo caso, è il contenuto delle parole, che influenza i suoni, e viceversa. Inoltre sono coinvolta in un progetto, chiamato "Larry Peacock", un trio: due musicisti e un cantante/performer (Henry Fleur, Ulf Sievers, Land). Ciascuno di noi supera i confini specifici dei propri ruoli, di musicista o performer. La performance è connessa ai generi di musica (per esempio, suonare in playback è una caratteristica della musica pop, non di quella improvvisata), ma è anche una questione di "potenza" e "desiderio".
Quanto ai progetti futuri, lavorerò con Sabine Ercklentz su nuove composizioni (abbiamo già fatto un cd chiamato "Oberflächenspannung" e abbiamo lavorato insieme al conservatorio di Brussels a marzo), e comporrò per un gruppo chiamato "Les Femmes Savantes", con Sabine Ercklentz, Ana M. Rodriguez, Ute Wassermann e Hanna Hartman: abbiamo avuto una commissione per un festival di musica contemporanea in Germania, a maggio.

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