Odia la politica ma ne è atterrito. Ama la musica e ne è consolato. Vederlo su Youtube o coglierne brandelli di spirito dalla Berlinguer a “Cartabianca” non rende l’idea. E’ al suo spettacolo, “La Sciagura”, che ti arriva la vera e inossidabile anima di Andrea Scanzi.
Chi vi scrive non è di destra, non è di sinistra, è ancora alla ricerca di sé stesso e ha pochissime certezze. Andrea Scanzi è una di queste. Non necessariamente perché io la pensi sempre come lui, no.
Scanzi è essenza che viaggia e si districa comprimendo e rilasciando in funzione di ciò che questa mandria, anzi, manica (mandria farebbe riferimento a qualcosa che mi è sacro, il mondo animale) di buffoni che è al governo di tanto in tanto sfodera.
Umanamente, sono stanco. Poco ricettivo, o meglio: difetto in sensibilità.
Le due ore di spettacolo con Andrea Scanzi, se si è in buona fede, riappacificano con quel superfluo che tendiamo a scrollarci di dosso, ma che invece ci accingiamo a lasciare ai nostri figli, e dunque siamo chiamati a vivere, a permeare nelle nostre vite.
Di conseguenza, a fare atto di presenza.
C’è una scalmanata che dal pulpito urla “tutto funzionerà” ebbra di un berlusconismo del quale ogni santo giorno sembra voler celebrare l’eredità, con al seguito una scolaresca alla quale ormai Crozza dura una fatica enorme a tener su le parodie perché sono essi stessi parodia, tra ponti traballanti e moltiplicazione dei vini.
Andrea Scanzi, quando si adombra, fa partire arie di De André, Gaber, Waters, artisti per i quali non trasecolo.
Poi, alla fine, quando tutto sembra perduto, parte “Extreme Ways” di Moby, e mi ritrovo a battere il pugno sul seggiolino davanti. Io, che non muoverei un muscolo nemmeno per salvarmi la vita.
Già, la vita. Ormai è tutto un brusio, un vociferare. Bisogna tendere l’orecchio attentamente per andarsi a cercare la verità. Perché la verità esiste, ed è lì a portata di mano: basta avere il coraggio di distinguersi e scegliere.
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