È principalmente per il ricordo di mio padre. Era lui a curare il giardino. Il bellissimo giardino della nuova casa che aveva comperato e ristrutturato con i risparmi di una vita. Se lo è goduto per troppi pochi anni. Fosse per mio fratello al posto del verde ci sarebbe ora una grassa colata di cemento grigio e vaffanculo. Per me sarebbe come sputargli faccia. A mio padre, intendo. Forse all’inizio mi pesava, ma adesso curare i fiori, tagliare il prato, potare, dare il concime e regolare il perenne ed impercettibile crescere delle piante mi rilassa. Mi fa stare bene.
Volano di fiore in fiore, leggere. Mi sfiorano la faccia mentre mi prendo una pausa con la pancia sul prato e le osservo senza disturbarle da vicino. Il ronzio delle api mi ipnotizza e così ho deciso da qualche anno di tagliare il prato più alto lasciando crescere qualche piccolo fiore bianco sul manto erboso. Le osservo lavorare con le zampette per prendere il polline e su e giù, instancabili maratonete. Ci sono delle arnie sul limitare del vigneto del contadino vicino e sì, credo che sia da lì che vengano.
L’ultimo libro di Andrei Kurkov ha come oggetto proprio le api. Con il mio fake avevo sponsorizzato "Hendrix a Leopoli" senza molto successo. Ora ci riprovo. Lo sfondo non è però il mio idilliaco prato ma un paese del Donbass nel 2015, a quasi due anni dallo scoppio delle ostilità. Sergej sopravvive nella zona grigia, nella cosiddetta terra di nessuno. A destra l’artiglieria dei separatisti filo russi, a sinistra la difesa dell’esercito ucraino. Il fronte è praticamente immobile e le bombe volano sopra la sua testa, spesso abbastanza lontano, qualche volta fin troppo vicino. Sergej si rifiuta di abbandonare la sua casa e affronta l’inverno durissimo dove è rimasto a fargli compagnia solo un suo nemico d’infanzia. Un furbo profittatore con il quale è costretto a legare per non impazzire di solitudine. È una vita minimale e grama quella che ci narra Kurkov con una prosa secca infarcita di battute taglienti e descrizioni spassose. Nel sonno irrequieto di Sergej corrono veloci i ricordi per posarsi alla semplice bellezza del quotidiano quando la guerra ancora non c’era.
"Le api sono migliori degli esseri umani. Al massimo alcune persone possono essere come le api, la maggior parte no".
Vivono semplicemente del loro lavoro, sono autonome e non danno fastidio a nessuno. Hanno le loro regole ferre alle quali si attengono e pungono solo quando hanno paura o vengono attaccate. Sergej adora le sue sei arnie e i suoi ronzanti inquilini. Si prende cura come fossero dei figli e vive del loro perpetuo lavoro. Ma le bombe rendono impossibile la vita anche alle sue api che hanno bisogno di luce e che nel grigio muoiono.
E così Sergej intraprende un viaggio prima nell’interno dell'Ucraina e poi in Crimea. Le sue convinzioni, circa la superiorità delle api, trovano riscontro nella cattiveria e diffidenza delle gente che si ferma alle apparenze, al sentito dire, al mero luogo di provenienza, alle notizie della TV. Lui viene dalla zona grigia, non è né carne né pesce e, come un fuco prima dell’autunno, viene respinto dai più perché diverso. Ma anche lontano dalle bombe Sergej si rende conto che il suo paese è gravemente malato. Non si muore di fame, questo è vero, non si sentono le bombe ma anche lì il sole è diverso. Quei raggi che lo scaldano nella soleggiata Crimea sono ormai infettati. C’è diffidenza, timore e assenza di futuro nell'aria. Un’arnia viene requisita da un ufficio centrale e le api, come gli uomini, cominciano ad ingrigirsi.
È un libro non banale che evidenzia con una prosa delicata, quasi poetica nella sua assoluta semplicità, le insensate logiche della guerra. Sergej ritornerà dal suo ex nemico Paska per tenere in vita in villaggio e per svolgere lo sguardo rivolto al futuro. Oltre questo grigiume sconfinato e senza fine.
P.S. Il libro è stato scritto nel 2019. Il grigiume è ancora lì, sempre più scuro.
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