Cos'è l'America? Andrew Dominik la immagina come un ristretto nugolo di affaristi, di colletti bianchi che giocano le proprie carte intorno ad un tavolo, che impegnano i loro soldi in affari. Poi c'è il cittadino, quelle che si direbbero le "persone normali" e ci sono le loro difficoltà economiche, l'incapacità e l'impossibilità di adattarsi ad un involucro statale che appare lontano, "chiuso". Regnano il sospetto, l'opportunismo, il business: basti pensare alla figura principale della pellicola, quel Jackie Cogan interpretato da un Brad Pitt ancora una volta in forma (seconda collaborazione con Dominik dopo "L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford").

C'è quasi la base per un "film d'inchiesta" sulla politica statunitense, ma a voler stringere le cinghie dei generi "Killing Them Softly" è un gangster movie. Cinico, freddo, spietato, soffuso ma comunque gangster movie. Lo è nella trama e nel dipanarsi di essa: il killer Cogan viene assoldato per trovare e uccidere chi ha rapinato la partita clandestina organizzata da Markie (Ray Liotta). Un'impostazione classica sia nella storia che nei toni per un film che pecca di indecisione: a volte sembra orientarsi verso un thriller tipicamente "manniano", altre volte fa il verso a Tarantino (in particolare nei lunghi dialoghi), senza dimenticare le perversioni sessuali e lisergiche di Abel Ferrara. E' in questa "ambiguità" di fondo che sta il vero problema di KTS: non avere un'anima ben definita sembra aver portato Dominik ad indugiare troppo sulla sceneggiatura scritta da lui stesso. Ne deriva un'opera in cui lo screentime va ad "ammassarsi" in lunghe sequenze dialogate, che spesso sono brillanti e ironiche, ma altre volte risultano forzate.

Andrew Dominik, già autore dello splendido "L'assassinio di Jesse James", dimostra di avere notevoli capacità registiche e il ralenty utilizzato per uno degli omicidi ne è la conferma. Così come appare perfetta la messa in scena di tutta la pellicola, gli spazi, le inquadrature. Tutto è perfetto da un punto di vista strettamente formale, grazie anche alla scelta di una regia "secca", decisamente asciutta e priva di particolari arabeschi. Interessante è il parallelismo tra il mondo raccontato nel film e quello politico che ci viene continuamente ricordato dai discorsi di Obama, McCain e George W. Bush nelle radio e in televisione. Traspare un chiaro attacco al sistema governativo a stelle e striscie, e la scena iniziale della rapina sembra quasi un'allegoria dei "grandi" finanzieri americani, improvvisamente spodestati e derubati dal popolo, quello composto dagli ultimi, i nullatenenti. Non è un caso che la sequenza conclusiva sia un vero e prorio attacco ad uno pei padri fondatori della nazione come Thomas Jefferson. L'America è soltanto business e la figura stessa del protagonista è l'incarnazione di ciò: uccidere è il suo lavoro e per quello deve essere pagato. Non è un gangster, ma un consulente, un braccio armato che fa il suo dovere cercando di mettersi in gioco il meno possibile, magari indirizzando un suo collega e amico come Mickey (un ottimo James Gandolfini) a fare un lavoro al posto suo.

Andrew Dominik è un cineasta di cui sentiremo parlare. "Killing Them Softly" è il suo terzo lungometraggio e possiede i pregi e i difetti tipici del genere. Ciò che lo penalizza realmente è la macchinosità eccessiva e la non perfetta linearità della vicenda, con la scena finale che in questo senso ha il compito di chiudere un cerchio altrimenti non proprio perfetto. Ma nonostante queste pecche siamo di fronte ad un'opera che ha una sua anima, che sa far male e sa far riflettere, che intrattiene e coinvolge. Dominik ha idee e personalità e con "Killing Them Softly" lo ha di nuovo dimostrato.

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