Elegiaco e spartano, così Branduardi, sul finire del nono decennio del secolo perso, regala una manciata di primule e viole, schiude storielle fuori dal tempo divise tra il mercato di rione e l’epica medievale.
Opera come sempre, mai figlia del suo tempo, suoni di Highlands lontane, di zampogna e fisarmoniche, studi raffinati, leggiadri testi da commediante che recita il comico, fatti di piccole dolcezze e contrappunti, dolcezze color pastello pur sempre in contrasti, eleganza del minimo e della più alta semplicità, fascino delle notti di luna all’ ombra di castelli pietrosi.
Branduardi è così, etereo essere fuori dal tempo, la sua musica è compostezza in senso puro, di maniera, lontana da odierna farraginosità, come la voce, giunge a noi di lontano, da tempi, ormai perduti. E’ la verde metafora del gioco della vita sull’altipiano a lasciare con vigliacchi contrasti e fuggevoli dicotomie, di bambinesco incanto, nascere una sorriso.
E l’opera si fa’ sempre più incline ad ospitare lo stupore dei piccoli contrari: il gesto che parla, l’amore che non si impara, l’esistere compreso solo nell’addio e nell’assenza, la piuma che sale sospinta dal vento e che poi scenderà, il fragore che fa posto al silenzio sul piazzale, l’uomo di neve che trova la vita, ahimè! sciogliendo nel sole.
Un lavoro di nobiltà artigiana, che insegna qualcosa, ancora una volta, riguardo la longevità e la caducità delle cose, eppur così distanti, due facce dello stesso scellino. Non si trova confine a quest’opera dalla poetica fiabesca. Sgorga il fascino della libertà, il fascino sorgente dell’avviarsi per bianchi sentieri e vicende semplici e perdersi per mondi ignoti e incantati, incantevoli nella loro poesia e ristoratori nella fuga nell’arte.
“La bellezza ci salverà” asseriva qualcuno, offrirà colore alle pareti, un rifugio sicuro alla nostra provata immaginazione, albergo ai nostri animi laceri.
Elenco e tracce
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