Esiste un libro di Roberto Tarco che si intitola "Angelo Branduardi/ Cercando l'oro" (pubblicato nel 2010 da Arcana Edizioni), il quale contiene biografia, discografia, interviste e opinioni riguardanti il cantautore. Nell'intervista finale c'è un passaggio in cui Angelo afferma: "Vedi, io più vado avanti e più mi riesce difficile scrivere, perché sapendo di più di quello che sapevo all'inizio, in realtà ne so di meno. Se prima conoscevo tre modi di arrangiare Alla fiera dell'est, adesso ne conosco trecento..."

"Il rovo e la rosa" non è un vero e proprio disco d'inediti. A fare compagnia ai nuovi pezzi, vi sono anche delle rivisitazioni di alcuni "storici Branduardiani". Se consideriamo quanto detto da Angelo (le righe sopraccitate), potremmo essere degli ipocriti a pensare che questo lavoro nasca da un calo d'ispirazione, piuttosto che dal desiderio dell'artista di voler sperimentare con le sue stesse opere. Ad ogni modo, quest'ultima ipotesi non è sufficiente a velare la stranezza di questo disco, che nonostante tutto riesce però a proporre una musica di un certo spessore artistico. "Il Rovo e la rosa" è infatti una fusione sonora fra quelli che (all'epoca delle rispettive uscite) furono considerati i lavori più innovativi e sperimentali di Angelo: "Branduardi canta Yeats" del 1986, e "Il ladro" del 1991. Per accorgersi di questo basta ascoltare "Mary Hamliton" e "Rosa di Galilea", che poi sarebbero "Ninna nanna" (da "Cogli la prima mela", 1979) e "Il ciliegio" (da "La pulce d'acqua", 1977). Entrambi i pezzi sono stati svuotati dei pomposi arrangiamenti che caratterizzavano le versioni originali, per proporsi in una nuova veste sonora più scarna, sobria e coi testi parzialmente variati, al fine di trovare un nesso coi temi principali di questo disco: l'amore e la morte, appunto. Ma l'ascolto di queste nuove rivisitazioni, ci riserva un acre risvolto: l'insipida essenza che le caratterizza.

Dare una nuova identità ad un brano storico è un nobile esperimento, che però non desterà mai la stessa curiosità di un inedito!

Purtroppo però, una presenza maligna adombra perfino le nuove canzoni. "Lord Baker" ad esempio, si posa su di un soave tappeto sonoro (creato dalle tastiere) che riporta alla mente un classico dei tempi d'oro, come "La luna". Il pezzo però, è penalizzato dalla troppa durata e dall'ossessivo ripetersi del tema armonico sul quale è costruito. Stesso discorso per "Il falegname" dove Branduardi torna ad essere il cantastorie che tutti conosciamo. Ma, anche in questo caso, la sublime interpretazione del menestrello è penalizzata dall'insistente piattezza degli arpeggi acustici, che potrebbero far calare l'attenzione all'ascoltatore (difetto imperdonabile, considerando il genere che stiamo ascoltando).

"Il rovo e la rosa" conserva comunque qualche momento interessante, come la ballata celtica "Baidin Fheiumi" o la piccola perla "Lord Franklin" lento marinaresco dal retrogusto artico, costruito da alcuni glaciali arpeggi che ogni tanto cedono il passo ad un violino malinconico e pacato. Apprezzabile anche la cover di "Geordie" (del defunto collega Faber), inclusa nel primo dei tre movimenti che caratterizzano la "Suite per arciliuto e voce". Chiude il disco "Barbrie Allen", brano già presentato nel precedente "Così è se mi pare", qui partecipe in una versione maggiormente acustica che però non riesce ad eguagliare la magia dell'arrangiamento originale.

Disco ostico e pesante, riservato ai veri appassionati di Angelo Branduardi. Per chi non ha dimestichezza con le sue opere, il consiglio è di recuperare i classici degli anni 70: la maniera più semplice per amare uno dei geni indiscussi del cantautorato italiano.

Federico "Dragonstar" Passarella.

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