Che annata straordinaria dal punto di vista musicale questo 2015, vacche grasse, oserei dire obese; mancano ancora un po' di mesi prima di poter tracciare un bilancio definitivo, ma se anche da oggi fino al 31 dicembre non uscisse nulla di interessante non è che cambierebbe poi più di tanto. Voglio dire, Marc Almond, Nena, Sarah Cracknell, Jimmy Somerville, Little Boots (Till Lindemann, Richard Benson... è proprio in caso di dire "c'è tutto, non manca gnente"), e infine la sorpresa più grande, il ritorno di Anneli Drecker, dopo un decennio esatto di latitanza. Si vede che quest'anno sono stato veramente bravo, in cosa di preciso non saprei dire, ma evidentemente me lo sono meritato in un modo o nell'altro. Qualcuno forse si ricorderà delle mie recensioni sui Bel Canto ed i suoi due precedenti album solisti, recensioni in cui auspicavo a più riprese un suo ritorno, con o senza lo storico partner Nils Johansen; a circa un anno di distanza sono stato esaudito, ditemi voi se sono o non sono un ragazzo fortunato!

Ma ora basta pavoneggiarmi, qui la star è Anneli: cos'ha fatto la mia Regina di Norvegia e di Ladonia in questi anni di lontananza dal music-biz? La mamma, principalmente, lo dico non solo a titolo di curiosità ma perchè quest'album è stato ispirato e influenzato anche da questa esperienza e scelta di vita, che Anneli ha scelto di anteporre alla propria carriera. Apparentemente, i suoi album solisti potrebbero sembrare delle sortite episodiche e occasionali, ma la storia che li unisce è comune: "Tundra" nasce come reazione al deludente "Rush", unica macchia in una carriera altrimenti impeccabile, è un album pieno di affascinanti twists and turns, eclettico, un po' eccentrico, variopinto, Anneli sperimenta nuove sonorità, non necessariamente legate al contesto Bel Canto. L'esperienza con Nils Johansen infatti si chiuderà da lì a poco, e in "Frolic" ritroviamo una donna elegante e raffinata come sempre, ma anche molto sexy: quello è un album da cui ogni popstar con velleità di classe dovrebbe prendere esempio, forse sarebbe potuto essere anche un nuovo punto di partenza ma un anno dopo è arrivata Luna, e così Anneli ha deciso di lasciar perdere, prendendo una decisione ammirevole e ben poco usuale in questi ambiti. Ed ora "Rocks And Straws", fiabesco e sognante, figlio dei paesaggi e delle atmosfere della sua Norvegia; un legame mai reciso, neanche nel tripudio world music di "Magic Box" e che, dopo questo decennio di dolce "esilio", ritorna più forte e più dominante che mai.

"Rocks And Straws": musiche di Anneli Drecker, testi ispirati da Arvid Hanssen, un poeta attivo soprattutto nell'ambito della letteratura per bambini; l'immaginario evocato è già di per sè affascinante, in più c'è anche una delle voci più belle che io conosca, dolce e suadente come non mai. Cantante sublime e compositrice di gran classe, Anneli Drecker si ripresenta sulle scene con un album che, per farla semplice, potrebbe essere classificato come folk-pop, ma è una definizione molto limitante, spesso associata a roba veramente insulsa: ci sono evidenti influenze soul, jazz e gospel, soprattutto nel cantato, inserti orchestrali, un moderato ricorso ad elementi elettronici, quando serve. "Rocks And Straws" è un album raffinato e completo, degno continuatore di una lunghissima tradizione di splendide visioni ad occhi aperti; la musica dei Bel Canto, e di conseguenza anche la sua, ha un fortissimo potere immaginifico che il passare degli anni non ha minimamente intaccato. Con "Rocks And Straws" si vive la breve estate del Grande Nord, tra l'oceano e le foreste; manca il fascino cangiante ed esoterico dell'Opera Massima "Birds Of Passage", ma la legge del Gattopardo, applicata ai grandi artisti, non fallisce mai: cambiare affichè (dove conta veramente) nulla cambi.

L'album ha un fulcro centrale, composto da due capolavori degni dei migliori Bel Canto uniti dalla stessa tematica, la vita dei pescatori del Grande Nord: "Fisherman's Blues" offre una bella intro orchestrale e un buon accompagnamento pianistico ma ciò che la rende grande è la voce di Anneli, che tira fuori una delle performance migliori di tutta la sua carriera: salendo e scendendo ciclicamente d'intensità, con una classe da impeccabile chanteuse, la sua voce dipinge un affresco delicato, lievemente malinconico ma anche estremamente vivido. Un cantato chiaramente influenzato dal soul e dal jazz per descrivere scenari nordici, idea brillante e fuori dagli stereotipi più ritriti della musica norvegese, e con la successiva "Ocean's Organ" si arriva al coronamento aggiungendo anche suggestioni gospel, un'enfasi corale perfetta per esaltare la forza emotiva di questo spettacolare crescendo. A dimostrazione dell'eclettismo di questa terza prova solista di Anneli Drecker abbiamo anche "Alone", che apre con garbo e delicatezza, un soffice tappeto elettronico e violini di sapore celtico, ancora una prestazione canora ai massimi livelli, ariosa e sognante; richiami new age ma anche il folk giocoso e bucolico di "Rocks And Straws", titletrack breve ma deliziosa, con un arpeggio che riecheggia abbastanza da vicino "The Voyage Of The Moon" di Donovan; il mood è lo stesso di quel meraviglioso e semisconosciuto album del 1971, "HMS Donovan", dolci e leggere filastrocche, pittoreschi quadretti naturalistici.

"Come Summer's Wind", "Green Leaves In The Snow", "Rain", "A Seagull's Melody", bastano già i titoli per rendere l'idea dell'atmosfera che si respira in "Rocks And Straws"; accompagnandosi con il piano o con strumenti acustici a corda Anneli dà vita a melodie sognanti e leggere, ora zamplillanti e vivaci, altre volte più eteree e contemplative. "Come Summer's Wind" colpisce per l'intensità e la purezza della melodia, "Circulating Light" per un elegantissimo e zampillante flusso di note che si apre in un gran finale orchestrato, "Green Leaves In The Snow" per un feeling vivace ed immediato, un episodio pop rock, potenzialmente radiofonico, che aggiunge un tocco di ulteriore dinamismo. Una dopo l'altra, le canzoni scorrono fluide, in un idillio quasi surreale; è come se Anneli avesse ripreso l'energia e l'eclettismo di "Tundra", incanalandolo in una visione d'insieme più definita e una dimensione più intima. In questo mix folk-pop-jazz si percepisce chiaramente l'influenza della prima Joni Mitchell, soprattutto in "Waiting For A Boat", chiusura dinamica ed inquieta, ma lo stile è il suo, l'immaginario evocato è qualcosa che appartiene inequivocabilmente ad Anneli Drecker. In conclusione, due brevi considerazioni: 1-Luna Drecker è una bambina fortunata, e dato che in qualche occasione ha già affiancato la mamma sul palco può anche darsi che in futuro decida di proporsi come erede al trono e 2-Benritrovata Anneli, il tuo è stato un ritorno perfetto, da vera Star ti sei fatta desiderare ed ora il tuo nome brilla di luce propria. Non avrei potuto chiedere di meglio.


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