Immaginate un treno che sfreccia, il suono di una foresta, il ritmo di un malato di mente in piene crisi epilettiche, il soffio del vento... "facili da riprodurre" direbbe qualcuno "l'hanno già fatto in tanti, senza mai emergere perchè fini a sè stessi". Ennò ragazzi, non basta mettere in fila dei rumorini alla cazzo e farli passare per musica concreta...

Aphex Twin con "Drukqs" aveva scioccato tutti, ma nonostante il suo rompere le righe, l'album riesce a far sentire quei suoni che molti cercano di riprodurre con registrazioni naturali, senza registrarli effettivamente. Aphex Lavora alla sua consolle e tira fuori un mucchio di 30 canzoni che scorrono via come una metropolitana, senza che siano di larga durata, come furono le lentissime pulsazioni di "Selected Ambient Works Vol. II".

"Drukqs" esce a lunga distanza dal precedente capolavoro e fu tempestato di ingiuste critiche: che la gente fosse stata bloccata per la ricerca di qualcosa di nuovo da parte del nostro? Stanco della solita idm, infatti, Aphex ha reso ancora più spigolose le sue ritmiche, rifiutando gli archi, ma aggiungendoci goldibili break-capolavoro di clavicembalo e pianoforte (le cortissime quanto bellissime "Jynweythekylow" e "April 14th"). Di tanto in tanto ripropone le note delay da primi anni '90 ("Bbydhyonchord", cripticissima, quasi come se fosse un fulmine a ciel sereno, un urlo all'interno di una foresta incantata) e regala cortissimi interlude parlati o di semplici note ritmiche. Inutile dirlo, il ragazzo della Cornovaglia ha davvero saputo sorprendere, quando ormai ci si rendeva conto di cosa aspettarsi da lui. Basta ritmi ballabili (ma in fondo... quando mai ha fatto dance?), ora i ritmi feriscono nella loro spigolezza e diventano duri, penetrando in una follia sonica inarrestabile ("Cock/Ver10", "Mt. Saint Michel+St.Michaels Mount").

Il risultato è un disco difficile, ma non impossibile e per questo, unico. Forse, il punto più alto in cui l'artista è mai giunto. Delirante come la tappezzeria della casa dei nonni.

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