Oltre la techno.
Oltre la sua natura discotecara, se vogliamo anche un po' tamarra, oltre il classico tunz tunz ripetitivo e fracassa timpani in cui la vogliono rinchiudere i suoi detrattori. La techno nel corso di questi anni è fuggita da questi clichè, si è evoluta, si è arricchita di sfumature, dalle radici disco si è spostata verso dimensioni più intime e personali raggiungendo i lettori multimediali domestici, è stata rallentata, accelerata, scarnificata, sparata in dimensioni oniriche e cosmiche.
Arandel parte da qui. Cinquanta minuti dove la techno non è techno, si aggroviglia con le componenti più multiformi a creare un'elettronica ambientale/IDM piuttosto variopinta che non perde quasi mai la fisicità propria del genere, nemmeno nei momenti più soffusi e lenti.
Si prendan i primi due brani ad esempio: minimal techno macchiata di dub, suono geometrico e oscuro composto da beat secchi attorniati da synth impalpabili, glitch, voci eteree e fiati dal suono profondo e lontano.
La mistica "In D#6" non sfigurerebbe in un album folk psichedelico: litanie vocali si stagliano su una linea di violino accompagnata da uno strumento a corda, in "In D#7" archi romantici si intrecciano con una techno sognante e calda: una cassa in tempi pari e tanta voglia di emozionare, di vagare in spazi siderali rimanendo ben ancorati al proprio letto.
E così si prosegue su morbidi tocchi di tastiere, field recordings, glitch, beat ora secchi e pieni, ora lontani e sognanti, atmosfere mistiche, oscure o acquose, sospesi in vortici di synth ora stranianti, ora caldi e avvolgenti, tra archi e fiati da camera.
"In D" è un disco originale, ben studiato, mai freddo e banale, che attinge da più fonti del panorama IDM degli ultimi anni (Four Tet, Deepchord Presents Echospace, Lulu Rouge, per far alcuni nomi). Una delle cose migliori uscite quest'anno.

4,5

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