Archie Shepp.

Archie Shepp è la voce di un popolo oppresso, è la voce della rabbia afroamericana.

Nel '64 Shepp è un musicista di Free Jazz; è uno dei futuri eredi musicali di Coltrane; è un sassofonista che ha già delineato le caratteristiche del suo timbro al sax tenore; è un abile arrangiatore e compositore nell'ambito di piccole formazioni di fiati pianoless; ma, soprattutto è fiero di essere nero.
Ed è proprio in quest'anno d'oro - così mi piace definire il '64 - che incide, per la Impulse! "Four For Trane", omaggio al maestro.

I musicisti scelti da Shepp sono tra i più passionali ed "arrabbiati" disponibili. Al sax alto c'è John Tchicai, alla tromba Alan Shorter (fratello del celeberrimo sassofonista), al trombone Roswell Rudd, al basso Reggie Workman, alla batteria Charles Moffett.

Il sassofonista propone una interessantissima rielaborazione di quattro tra i più famosi brani di Coltrane, di cui ben tre provengono dall'album Giant Steps. Elementi fondamentali delle composizioni sono gli elaborati arrangiamenti e le improvvisazioni viscerali dei solisti, sorretti da un drumming regolare e dal pulsare del basso, resi più liberi dall'assenza del piano.

Sin dal primo brano, "Syeeda's Song Flute", si rimane impressionati dal suond dell'ensemble, il miglior attributo per definirlo: "nero". Si rimane impressionati anche dal timbro del sax di Shepp, rauco in tutti i registri, ma limpido nei suoni più acuti; caratteristica predominante del suo fraseggio è la vocalità.
Dopo il primo solo del leader, accostato occasionalmente dal trombone, si può ammirare la logicità del discorso musicale di Rudd, il quale fa largo uso di note lunghe. L'ultimo è "Workman", che interagisce al meglio con la batteria di Moffett e riempendo al meglio tutti gli spazi musicali, che, di solito, copre il piano.

La riscrittura di "Mr. Syms" presenta durante il tema asimmetrici fraseggi all'unisono dei due sassofoni, che si aggiungono al tema originale. Questa volta il primo musicista chiamato in causa è Alan Shorter, supportato dagli interventi di Shepp; il trombettista si serve della libertà armonica concessagli per costruire un solo basato su fraseggi dissonanti. Shepp è il secondo; un solo, il suo, che richiama alle radici blues della musica afroamericana.

Il tema di "Cousin Mary" è perfetto per il suond della band ed è riproposto, come controcanto al solo del sax tenore, ancora una volta passionale e rauco; segue Shorter, prendendo spunto dalle risposte degli altri fiati. In questo brano è però da sottolineare il primo solo di Tchicai, il suo timbro sembra prima incerto e innoquo, ma poi sporcando il suono e ripetendo nuclei di note piangenti, riesce a descrivere la sua sensibilità di artista tormentato.

La penultima traccia è, forse, il capolavoro del disco. Questa rielaborazione di "Naima" è la più interessante mai ideata. Il lavoro di arrangiamento è risultato anche della creatività di Rudd. Shepp fraseggia in scioltezza sulle note degli altri fiati fino a quando viene lasciato da solo; è in questo momento che il sassofonista mostra la parte più pura della sua arte. Poi il brano sembra finire e l'ascoltatore rimane sorpreso dal breve cambio di umore e di velocità, durante il solo di trombone.
Si torna, però, subito al clima della ballad: questa volta i fiati fungono da tappeto armonico, su cui Shepp espone il tema, utilizzando il registro più acuto dello strumento e riuscendo ad ottenere una voce dolcissima e limpida.

Infine c'è "Rufus" (Swung, his face at last to the wind, then his neck snapped), brano ad alta velocità e dal tema asimmetrico, cui segue l'altrettanto asimmetrico fraseggio di Tchicai. Shepp si cimenta nell'esecuzione funambolica di ripetuti grappoli di note, lasciando poi la parola a Workman. L'ensemble ridotto - mancano gli ottoni - ripete di nuovo il tema, dopo gli scambi di fuoco tra i due sassofoni.

Questo album, è un importante documento dell'arte di Shepp; da quì in poi, il sassofonista conserverà il suo modo di suonare e le sue idee, divenendo - come lo è oggi - uno dei più grandi rappresentanti della cultura afroamericana.

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