"Corona vuota", questo è significato letterale del titolo, e a detta del gruppo, secondo un'intervista di un annetto fa a Rock Sound, l'album parla appunto di un mondo in cui ci sono persone che non riescono ad ottenere quello che si meritano, mentre altre, si ritrovano a convivere con un successo tutt'altro che guadagnato.

Cosa significa, che "Hollow Crown" è un album autobiografico? In parte si.

Il combo inglese, proveniente da Brighton, la stessa cittadina dei Bring Me The Horizon, ha già prodotto 2 dischi di notevole successo nell'underground quali "Nightmares" e "Ruin", che li ha fatti ascendere come uno dei pochi gruppi europei in grado di unire le dissonanze e la tecnica del Math con l'attitudine di un feroce hardcore\metal modernissimo e ultrapesante; ma sta di fatto che, al contrario dei loro compaesani, il vero successo non sia mai arrivato, ed è proprio in questo terzo disco, il loro più maturo e meglio prodotto per giunta, che questa rabbia e frustrazione viene scatenata, sciogliendo decisamente la tensione che si sentiva nei primi 2 dischi, in quanto il leitmotiv del disco sia appunto questo costante senso di insoddisfazione, di rabbia, di dolore e di perdita che si denota anche negli episodi più melodici.

Per l'appunto, se "Nightmares" era l'onesto tributo di un gruppo ancora alle prime (ma non primissime) armi a gruppi quali The Dillinger Escape Plan e Sikth, comunque ancora immaturo sotto il punto di vista del songwriting, il suo successore, "Ruin", comunque esaltato dalla critica, rappresenta secondo il sottoscritto un vero e proprio passo falso, con una produzione indegna e una manciata di canzoni non proprio indimenticabili, noiose e sconclusionate; ma si sa, il terzo disco è il disco del salto di qualità, e per fortuna, questa volta c'è stato: "Hollow Crown" è un disco potente, rabbioso, più semplice nel riffing ma non meno tecnico, con diverse tracce ispirate sia all'hardcore (l'opener, "Early Grave", è decisamente figlia di "Moments Over Exagerate" dei Poison The Well) che al metal estremo, con cambi di tempo e chitarre ultra ribassate ("Dead March" sembra un pezzo dei Meshuggah), cori e dissonanze non troppo accentuate ma comunque presenti (l'anthem "Follow The Water" o la stupenda "Numbers Count For Nothing", la migliore del disco) e un tiro, per quanto riguarda sia le clean vocals che il cantato sporco, allucinante.

I testi, nonostante parlino sopratutto di esperienze personali, sconfinano anche in tematiche esistenziali, tutt'altro che ottimistiche, e rimangono decisamente impressi essendo scritti non più con quella vena adolescenziale che contraddistingue "Ruin", ed è grazie anche a questo che di passaggi memorabili se ne trovano in abbondanza; infine, persino la titletrack, una romantica scream\ballad, nonostante si discosti dalle loro produzioni solite per la semplicità della struttura, è decisamente una gran canzone, in cui il cantante dimostra di avere una capacità vocale notevolmente superiore alla media nell'ambiente "core", con dei chorus ispirati e potenti.

Il suddetto disco quindi, nonostante non sia esente da riempitivi ("We're All Alone" e "One of These Days" su tutte) è assolutamente godibile e, se siete fan di queste sonorità, diventerà un pezzo insostituibile della vostra discografia. Se il disco comunque vi piace, trovate il tempo di vederli dal vivo, in cui rendono ancora più che su disco, e converrete con me che anche una stella in più per quest'album non è del tutto immeritata.

Elenco tracce e video

01   Early Grave ()

02   Dethroned ()

03   Numbers Count for Nothing ()

04   Follow the Water ()

05   In Elegance ()

06   We're All Alone ()

07   Borrowed Time ()

08   Every Last Breath ()

09   One of These Days ()

10   Dead March ()

11   Left With a Last Minute ()

12   Hollow Crown ()

13   To the Death (2008) ()

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