Ariel Pink’s non si sa se ci fa o ci è. Già a partire dalla sua lunga chioma di capelli rosa, dici: ma questo da dove è venuto fuori? Poi ascoltando i suoi dischi, capisci che il giovanotto di musica ne ha ascoltata parecchia e cominci a valutarlo positivamente. Preciso subito: tutte le composizioni sono originali (a parte una qualche cover ogni tanto), ma fanno in modo che l’orecchio riconosca tematiche e suoni caratteristiche di una qualche band a cavallo degli anni ’70 - ’80. Non voglio assolutamente dargli l’appellativo di plagiatore, ma alcune sue canzoni fanno ritornare in mente certi movimenti sonori che si sono creati negli anni, tipo disco music o rivisitazioni in chiave psichedelic–prog. L’esempio più lampante ci viene offerto dal suo disco precedente “Before Today”, ma anche quelli precedenti non scherzano. Un’altra caratteristica è l’attitudine al low-fi (ed ennesimo richiamo a certe incisioni anni ’70); se nei primi dischi Ariel poteva utilizzare registratori multi pista di modesta qualità, dal 2010 facendo parte dell’etichetta AD poteva vantare di tecnologie sicuramente più avanzate; eppure è rimasto fedele a questa tipologia di registrazione, quasi fosse un suo marchio di fabbrica.
Col titolo “Mature Themes”, il nostro Ariel, ci vuol dire che finalmente ha raggiunto la maturità verso un disco che punta tutto sul pop. Ma quel pop che ti lascia di stucco, articolato nelle basi, nelle riprese (non quelle microfoniche eh) e negli stacchi. Ma i testi a volte sconvolgono, sia per quanto sono bizzarri sia per quanto siano, nella loro relativa semplicità, incredibilmente poetici. Esempio di “Schnitzel Boogie”: perché cavolo uno dovrebbe parlare della tipica cotoletta austriaca? E perché mai dovrebbe accostare questa canzone ad un’ altra che parla di un amore incredibilmente voluto ma che resterà comunque solo nei suoi sogni (“Only in My Dreams”)? E questo ci fa chiedere perchè Ariel sia un buffone per il primo episodio, ma capace di scrivere anche testi come il secondo. Perché lo fa? Il testo della cotoletta austriaca in realtà avrà un qualche messaggio criptico nascosto e capace di essere tradotto solo da pochi? Vorrà emulare un qualche suo idolo come Frank Zappa? Eh già, più volte è stato paragonato al buon zio Zappa, in particolar modo in questo disco si può anche ascoltare “Is This The Best Pop?”, una sorta di electro punk che sembra uscita direttamente dal repertorio del baffuto. Ma le sorprese non finiscono qui, piccoli composizioni come “Driftwood” allietano le orecchie dell’ ascoltatore, mentre si ascolta la new dark punk di “Earl Birds Of Babylon”, la dichiarazione synth pop di “Symphony of the Nimphs” e il suo meraviglioso testo. Spazio anche per richiami da Bee Gees in “Pink Slime”, a temi ambient come “Nostradamus & Me” ed al blues triste e malinconico di “Baby”.
Ma allora a questo punto vi chiederete: ma sto Ariel è in grado di comporre qualcosa di “suo” e che non abbia influenze così evidenti? Be’, io dico che bene o male ogni artista, a meno che non sia una pietra miliare del genere, ha sempre, velatamente o meno, attinto dai precursori (specialmente al giorno d’ oggi). Ma il lavoro di Ariel è ben più che semplice attingitore; nelle sue composizioni ha sempre fatto ricordare qualcuno senza cadere nel plagio. Ad un primo ascolto lo dichiari come un semplice copione, poi lo riascolti una seconda volta e dici che ti sbagliavi e lo rivaluti, la terza pensi ancora che sia un copione, la quarta che è un genio; così via un circolo vizioso che alterna l’ipotesi della veridicità delle sue canzoni al momento in cui dici che è un fanfarone. Ma io comunque preferisco definirlo come un evocatore di ricordi: alla fine dei molteplici ascolti ti rendi conto che non è mica facile “copiare” come fa lui. E lui ci riesce benissimo.
Voto: 8
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