Skòpije in DOLGOPAX.
Chernobyl is Hiding in the Buildings Nowadays.


Svjatlana era nata a Dolgopa nel 1971. I genitori avevano riempito la sua camera di manifesti del Partito, del Proletkult, del Soviet. Sul comodino sistemato al centro di due brande, al posto dell'abat-jour, le avevano piazzato una statuetta di zinco, simulacro di Marx ed Engels. Crebbe intontita di quei simboli e avvolta di certe pedissequità. Poi arrivò Černobyl', Pryp"jat', la Zona di Alienazione, la città morta e la foto di quel luna park che i suoi vecchi cercavano di farle ignorare una volta vista, ma che lei non poteva togliersi dalla testa e di cui trovava sempre qualche riproduzione dalla quale non riusciva mai a distogliere lo sguardo. Perestrojka, Uskorenie, Glasnost', le ingenuità Marxiste, le notizie che entrano, le menzogne e i tradimenti al popolo, le distorsioni. Fuori la Stasi, la DDR, la caduta del Muro, dentro lo sfaldamento dell'Unione Sovietica, il 1990. Odiava l'indottrinamento, finì per abiurarlo del tutto e coi suoi genitori non parlò mai più. Moskva, il nuovo, la Comunità degli Stati Indipendenti. Walewska. Le trasmissioni delle Radio Estere. Киев 1991.

Una Ricognizione nella Zona. L'esplorazione di una fabbrica abbandonata. Occorre essere attenti e scegliersi la parte. Sentirne le superfici gelate, sfiorarne le polveri posatesi da tempo sulle caldaie, osservare le tubature d'acciaio e seguirne le traiettorie. Ascoltare il suono delle gocce che dai soffitti precipitano in zone bagnate, i mulinelli sonori tenui delle acque stagne agitate dai propri passi. Farsi penetrare dall'umidità di quegli echi, fino nelle ossa. Lasciarsi ammaliare da quei silenzi metallici, odorarne la materia, le sue scorie. Non immaginarsi nulla che non siano Appunti di un viaggiatore nelle terre del Socialismo Reale. Immergere le braccia in pozze che non si credevano così profonde, cercare e poi trovare pesci ancora vivi che ci nuotano dentro. Una fabbrica nera, un luogo oscuro di storia in cui in un angolo buio si intravede una speranza sotto forma di luce flebile che filtra tra le crepe di un'area deflagrata. Luogo della psiche dove la Geopolitica non è neanche ipotetica. Una speranza di cui nessuno sa nulla, un anelito in un luogo fuori dal mondo, lontano da esso, di cui il mondo stesso non si accorge e non ne sa niente.
C'è una luce bianca dell'est che splende forte sopra queste nuvole certe mattine.
Ghiaccio, macchie di petrolio, rari decibel, isolamento in questo Ministero d'Inverno.
Permafrost. Una cosa atea, una questione privata, la disciplina del nulla.

Eduard Artemiev è il responsabile intellettuale di questo album, stampato dalla Мирумир nel 2013 solo in vinile, che non è null'altro che la riduzione di una precedente compilazione di brani per i Film di Tarkovskij risuonati e registrati di nuovo in uno studio di Amsterdam. La qualità alta della musica resta comunque invariata ed immacolata, anche se si tratta chiaramente di un'operazione un po' mercantile per lo spirito dei collezionisti, il cui acquisto del disco è giustificato se non altro dalla possibilità di possedere copertina-quadro-fotogramma del regista immortalato in una foto di scena in mezzo alla stanza di sabbia di STALKER.

Talvolta bisognerebbe disattivare gli altoparlanti. Il Consorzio Suonatori Indipendenti cantava Unità di Produzione nei Palasport e non si spiegava il perché tra il pubblico cinquemila persone alzassero il pugno. Finiva il concerto e il consiglio prendeva atto con dolore che tutta quella gente non ci aveva capito proprio niente. Ecco perché talvolta bisognerebbe disazionare il giradischi, aspettare che piova, alzare le persiane e aprire le finestre, godersi la musica della pioggia che batte sul pavimento dei terrazzi. Musica elettronica analogica fatta di leve, bottoni, sintetizzatori per un cinema spirituale ed austero. La croce di Cristo appesa sul muro di una chiesa di Firenze. Silenzio, organi, luci votive e dispiacere. Beatrix porta la felicità, Andrej.
Artemiev. Wagner, Verdi, Debussy, Beethoven, candele accese a Bagno Vignoni.
Guerra e pace ce l'aveva già presente, già solenne, la Nostalghia di Tarkovskij.

Nel 1994 Svjatlana si trasferisce sul Lungarno, nei pressi di quella che fu la Via Cassia, a fare l'insegnante. Si compra una copia del Mein Kampf, edizione La Lucciola Editrice, 1992. Si lascia sedurre dal fascino osceno del consumismo e parla solo di quello. Gli studenti universitari del CSOA che la infastidiscono facendole notare la sua lontananza da certe ideologie, nonostante la sua provenienza, sono costretti a notare che dal vaneggiamento neoliberista è ben capace di passare a ragionamenti ben più spessi e profondi, e quando comincia a parlare della sua infanzia quelli rabbrividiscono ed esauriscono gli argomenti del loro carnet. La chiusa è sempre la stessa: <<Marx sta nei libri>>. Verso la fine degli anni '90 non parla più con nessuno, se ne sta in casa in silenzio. Ascolta solo musica minimale ed è capace di stare per ore senza aprire bocca a guardare il suo gatto bianco mangiare dalle scatolette e a bere dalle ciotole sul pavimento. Il suo gatto si chiama Zerkalo. Osserva spesso la finestra della sua abitazione dall'esterno, per alcuni minuti, poi rincasa. Vestita solo di una t-shirt bianca una mattina si sveglia, si lava la faccia, si pettina, si fissa per ore davanti allo specchio. Memorie di luce elettrica e respiro tra la neve anecoica. Le rughe, le smagliature, la sua storia, la sua dissoluzione. Il vuoto. Sfascia lo specchio con un colpo violento. Vede la sua immagine frammentarsi dentro di esso. Si inginocchia tra i suoi detriti, comincia a mangiarne i pezzi, uno per uno. E così mangia sè stessa, lentamente. Al funerale solo sua sorella gemella Nastenka che, dopo la sepoltura, se ne torna a Parigi a pensare una sceneggiatura per tutto questo, la chiama Matériel pour le Film.
In Boemia tutto resta immobile. SAMIZDAT оповідання opovidannya DOLGOPAX.

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