Ho paura della morte. Non reggo il pensiero, mi fa sprofondare nell’angoscia più profonda. Alle volte mi sorprende e quando rinsavisco, dopo qualche minuto, mi ritrovo agghiacciato e immobile, ad indagare col cervello all’interno del mio corpo nella speranza che i miei organi rispondano uno ad uno all’appello, senza dare fastidio. Per le cause esterne mi arrendo. È brutto parlarne, potrebbe essere poco corretto nei confronti di chi soffre, me ne rendo conto. Ma la mia ipocondria si scatena proprio quando vedo persone combattere per la vita. Non avrei l’audacia e la forza di molti, sono debole. L’altra notte mi sono svegliato fustigato da un brutto sogno. Non capita spesso. Anzi, è la prima volta a mia memoria che mi sia successo qualcosa di simile. Di sonno neanche a parlarne e allora via verso lo stereo con una camomilla a vedere come fare per trovare un po’ di tranquillità. Sono una persona molto legata alla vita, mi piace la mia condizione di essere umano, sono materialista e non vedo perché dovrei rinunciare a questo stato. Ci sto così bene e male che mi piace da impazzire. Nella ricerca di un aneddoto a questi timori ho trovato un’illusione a cui aggrapparmi.

Nel 1986 Arthur Russell pubblica "World Of Echo". Che è esattamente lo stato in cui vorrei trovarmi per sfuggire alla morte. Ci vivrei per sempre dentro "World Of Echo". “Ma poi ti stanchi, che te ne devi fare, dopo non sai neanche cosa c’è”. Non me ne fotte un cazzo. Se proprio devo chiudere gli occhi, voglio restare legato alla terra qua dentro e non uscirne più. Non mi interessa nemmeno l’idea originaria del lavoro dell’artista. Non so se lo abbia concepito per farci sentire come suona l’assenza di gravità, per farci ascoltare un sogno, per conciliare i suoi trascorsi dance/club con il suo studio del violoncello. Ce ne sarebbero di cose da dire su di lui. Ma oggi non importa. So solo che più accezioni della parola universale si legano a questa release. A ventiquattro anni di distanza per me è uno dei punti d’avanguardia ancora non raggiunti dalle capacità espressive umane. È cosmico e da camera, è immanente e locale, è calmo e parossistico, è alla portata di tutti ma non so quanti lo apprezzerebbero. I brani che compongono World Of Echo sono trasfigurazioni in serie. Riverberi di cello e voce, alienazione della mente in piena meditazione, sillabe, onde sonore prive di peso, scoperta del valore immateriale di un bene, uno spartito da cui anche Eno avrebbe qualcosa da apprendere. E penso che lo farebbe, tranquillo. Difficile che un’opera si tenga in piedi senza un battito, che non annoi l’ascoltatore in questo stato di vacuità perenne. Russell ci riesce, come dice lui stesso, nascondendo il presente. Questa sottrazione fautrice di un ricco minimalismo cancella molti legami con il terreno ma nega l’idea di altre possibilità. Banalmente, sospende. In quello stato che vorrei essere la mia fine, il più tardi possibile. La decostruzione della canzone libera dal formalismo ogni momento di questo disco e rende apprezzabile e facilitata la percezione dei pixel delle trame sonore. Lasciandoti in pace, senza paura e consapevole che ciò che vorresti può esserci oggi e sempre. Russell ti dipinge attorno il paesaggio perfetto, intimo ma vendibile su larga scala, migliore del legno buio. Russell fondamentalmente non sapeva a cosa stava andando incontro ma l’aveva percepito. Forse. Non lo so. Mi piace pensarlo. Mi piace pensare che abbia pensato a tutti quando è andato in studio a registrare questi echi realistici e confortevoli. Di lì a sei anni morirà malatissimo. Ma la sua composizione è divina, non ha confini di tempo, ed così inclassificabile che forse anche avanguardia è poco.

Non entro nel merito della rivalutazione dell’artista e dei suoi ultimi lavori. Sono cose da ascoltatori più attenti e consapevoli. Qualcosa di suo conosco, ma questo disco ha fatto conoscere qualcosa di mio a me stesso prima ignota. E mi ha regalato una certezza che è quella più stupida ma anche quella più rasserenante: sapere in quale condizione voglio vivere / non vivere. Che poi ci siano dentro le linee guida di una visione attenta e propositiva per la musica pop, la musica classica, per lo studio del cello o per la musica dance, bè, ciò in questo momento m’importa. Della musica mi piacciono le suggestioni, il potere di far divertire, le evocazioni, gli aspetti immateriali. I miei omaggi ai suonatori supertecnici, soprattutto quando sanno come far sognare. Ma punti in meno per la freddezza e per le ostentazioni di capacità. Un costellazione di puntini in più a chi sa far muovere un uomo, a chi sa generare e spegnere timori, a chi sa sollevare interrogativi e creare immagini in cui si potrebbe vivere. Arthur Russell è tutto questo. Io sono solo un fruitore di intuizioni altrui.

Elenco tracce testi e video

01   Tone Bone Kone (01:00)

i'm so happy that i met you and came to find
this evening you gave me good advice
and more and then
oh,
tone bone kone

?

02   Soon to Be Innocent Fun / Let's See (09:32)

03   Answers Me (02:09)

04   Being It (03:48)

05   Place I Know / Kid Like You (04:36)

06   She's the Star / I Take This Time (04:52)

07   Treehouse (02:12)

08   See-Through (02:07)

09   Hiding Your Present From You (04:13)

10   Wax the Van (02:09)

11   All-Boy, All-Girl (03:41)

12   Lucky Cloud (02:50)

13   Tower of Meaning / Rabbit's Ear / Home Away From Home (04:36)

14   Let's Go Swimming (02:35)

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