Tra giugno 2004 e gennaio 2005, John Frusciante ha fatto uscire ben 6 dischi. Non sono di certo tutti capolavori; se John avesse selezionato maggiormente il materiale avrebbe potuto far uscire solo un paio di cd, ma sensazionali! Non si capisce bene il perché di questa mossa, probabilmente per sfruttare al massimo i suoi fan accaniti che comprano tutto quello che produce. Resta il fatto che, tra questi 6, ce ne sono alcuni eccezionali. “Automatic Writing” è forse il migliore. Qui John si unisce al fidato Josh Klinghoffer e a Joe Lally (Fugazi) formando così gli Ataxia.

Ci troviamo davanti a cinque lunghi brani psichedelici, intrisi di rumori ossessivi e suoni stranianti. Il tempo si dilata e la musica penetra nella mente come una colata lavica incandescente. È un disco molto diverso dai soliti del chitarrista dei RHCP. Sin dall’inizio si nota la differenza; la prima traccia “Dust” parte lenta, cupa e ripetitiva. Qualche suono acido qua e là tanto per disorientare l’ ascolto. Poi cresce, la chitarra entra torbida. Attraversa come un fulmine le nostre percezioni. Le eco si intrecciano e si confondono. Un serpente entra nella nostra mente, si ciba di tutte le nostre percezioni e ci assoggetta. Dopo pochi secondi siamo intrisi di questo magma sonoro, denso e ruvido. Entra poi la voce; sembra di sentire i pensieri che viaggiano dentro di noi. Da oscura diventa dolce, poi rabbiosa e rauca, acida. Intanto la batteria e il basso fanno del loro meglio per sorreggere questa chiassosa impalcatura. Il brano prosegue, la voce cambia tono ad ogni verso. I toni si fanno man mano più soffocanti, ma all’improvviso svanisce tutto e l’impalcatura cade. Crolla senza lasciare traccia di se. La seconda traccia è “Another”, introdotta da un semplice tema di basso-batteria, è meno opprimente. Un bell’ arpeggio di chitarra ci lusinga, poi la voce fa il suo ingresso. Vaporosa, fluida e appena accennata, con qualche spunto emotivo. Meravigliosa. Farfuglia qualcosa, poi si distorce e diventa un sibilo. Nel mentre tutto continua a fluire, le poche note si ripetono infinitamente, fino ad entrare dentro al cervello per non uscirne più. Solo nel finale si sente John cantare chiaramente. Pochi versi. “The Sides” è il luccicante brano centrale. La batteria entra vibrante e potente. La chitarra e la voce disegnano cerchi melodici perfetti ed affascinanti, interrotti solo da qualche rumore insistente. Il cantato, prima dimesso, si fa poi concitato e sfocia nell’assolo centrale. Rientra la voce timida e intima, sembra sussurrare segreti indicibili. E riparte, piena di suoni dilatati e sibilanti. Il brano si chiude pian piano su se stesso. Davvero un pezzo bellissimo, nel quale convivono melodia, psichedelica e rock infiammato. Esteticamente, è la canzone più bella del lotto. Anche “Addition” presenta la formula alienante degli altri brani, con il suo riff che si imprime nelle mente. Il cantato è qui più arioso, meno monocorde. Discutibile questa scelta, forse la voce tesa e sibilante degli altri pezzi si sposava meglio con la musica, ma “Addition” resta comunque un godibilissimo brano. La voce è molto espressiva, sia quando vuol esser dolce sia quando trasuda rabbia e sofferenza. Rumori meccanici, roteanti e oscuri completano l’impasto. “Montreal” chiude il lavoro. L’aria è più distesa, le note quasi indistinguibili per la loro lentezza e cupezza. Sopra di esse la voce e la chitarra ossessionata tracciano le linee su cui viaggia in brano. Più intimo ed oscuro degli altri, ma a volte un po’ noioso vista la sua lunghezza. Il tutto procede sistematicamente; a volte sembra che si spenga, ma i suoni impetuosi e nevrotici ritornano continuamente e alla fine chiudono con un vorticoso sibilo.

“Automatic Writing” è un ottimo album, che poteva essere un capolavoro se solo i brani fossero stati più brevi e numerosi. Resta comunque una delle prove migliori di John Frusciante, che in questo lavoro si impiega in un genere a lui non congeniale, ma lo fa con l’attitudine giusta. A metà tra musica psichedelica e dolci melodie. Da avere se volete passare 44 minuti e 45 secondi in un’altra dimensione… voto 4, 5/5

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