Alacri e compatti, i sei ragazzi della Sezione Ritmica di Atlanta insistono nell’uscire sul mercato una volta all’anno in codesto primo scorcio di carriera. Questo quarto lavoro del 1975 rivela un lieve indurimento del suono, un maggiore punch, qualche distorsione in più anche se il rock della formazione resta fra i più rotondi e melodici in ambito sudista.
I momenti topici di queste “Giornate da cani” sono tre: il primo che s’incontra è l’interminabile boogie blues “Boogie Smoogie”, il quale parte strascicato e scolastico oltre ogni dire, ma al terzo minuto il suo trottare diventa risoluto galoppo, alla grandissima, per arrestarsi solo cinque minuti dopo alla fine di un susseguirsi di belle idee soliste e ritmiche da parte di tutti e sei gli strumentisti (anche il cantante Hammond, all’armonica). La Gibson di Barry Bailey non fa prigionieri, al solito.
“It Just Ain’t Your Moon” (bel titolo) è il classico loro pezzo: rock sudista di classe superiore, assai accessibile anzi quasi ruffiano nella porzione cantata, ma che poi prende le strade di una accattivante jam nello strumentale centrale, con ottime cose da parte dei due chitarristi e del corpulento ma brillante bassista Paul Goddard.
“Silent Treatment”, altro must nei loro concerti e vertice del lavoro, è un rock blues dal teso e micidiale riff, condito pure di armonica a bocca. Qui la ARS è al suo meglio, assolutamente. Il rotolamento concatenato basso/chitarre/armonica è sublime, il ponte dolce dolce pilotato da Hammond una poesia, prima che la solista di Bailey plani come una principessa che scende dalla sua carrozza, attenda un cambio di ritmica e poi apra le valvole a tutta rovesciando classe, grinta e misura da ogni nota. Anche qui, come in “Angel” nel disco precedente, le esigenze produttive fanno sfumare solista e gruppo, mentre al contrario dal vivo si andava avanti per un altro bel pezzo, smettendo solamente quando gli astanti erano completamente conquistati.
Delle altre, “Crazy” è un tentativo ancor non del tutto riuscito di produrre un singolo da classifica. “Cuban Crisis” è ovviamente a tempo di rumba, con tanto di guiro e altre percussioni a ribadire. Il brano che dà il titolo al disco è a contrasto uno striscia panza, zero sudista, nel quale il frontman cerca di contribuire all’eventuale concepimento di figli da parte di chi ascolta; finché però i suoi compagni si stufano e partono per la tangente con una, stavolta breve, rigenerante rincorsa rock blues. “Bless My Soul” è un altro boogie, strumentale e di riempitivo per far divertire un po’ Bailey e la sua sei corde. La finale “All Night Rain” è un soffuso lento country blues non indimenticabile ma comunque squisito, con il timbro straccia mutande del cantante in piena azione.
Le quattro stellette, inaugurate dal precedente album “Third Annual Pipe Dream”, cominciano già a stare strette; non manca poi molto alle cinque.
Elenco e tracce
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