Sono particolarmente legato ad “Underdog” (Sottovalutato, nell’idioma anglosassone), essendo l’album che mi fece scoprire gli Atlanta, nel lontano 1979 anno di uscita dell’album. Resta uno dei loro lavori miei prediletti ma non in quanto il primo in cui mi sono imbattuto, piuttosto perché contiene due o tre dei loro numeri più riusciti di carriera.
Prima di tutto l’eccelsa “Spooky”, che è addirittura la cover di una semi-cover! Spiego: nel 1966 il sassofonista americano Mike Shapiro pubblicava con buoni riscontri questa sua canzone come jazz blues strumentale condotta dal proprio sax tenore.
Un paio d’anni dopo una band della Florida chiamata Classic IV ne realizzava una… quasi cover, ovvero tramutando il tema di sassofono in una melodia cantata, e componendone il testo: buon successo anche per questa versione pop blues.
Nei Classic d’altronde militavano il pianista Dean Daughtry, il chitarrista J.R. Cobb ed il compositore e produttore Buddy Buie che in seguito, all’alba dei settanta, mettono insieme la presente Atlanta Rhythm Section!
Il cerchio perciò si chiude con questa terza ed ottimale incarnazione rock blues del brano, ben più significativa grazie alla swingante, pregevole voce di Ronnie Hammond e soprattutto alla chitarra solista di Bailey, che tanto per cambiare vi spadroneggia superbamente, stampando un assolone più discorsivo e ficcante non solo del sax di Shapiro ma pure della stessa esibizione del frontman Ronnie. Ascoltare per credere: la Gibson di Bailey, puntuta come non mai grazie al perfetto stile con cui riesce a “sporcare”, in realtà arricchire di attacco e incisività le note usando anche i polpastrelli di pollice e indice con cui stringe il plettro, descrive temi e melodie a getto continuo con una dinamica, un uso delle pause, un pregio e un “tiro” inarrivabili.
Detto e stradetto di “Spooky”, in quest’album sono marcatamente da prestare orecchio anche il tirato e lirico rock blues “It’s Only Music” dal volitivo crescendo strumentale, ma anche la conclusiva e distensiva “My Song”, pressoché un assolo di Ronnie Hammond essendo quasi esclusivamente fatta di chitarra acustica e voce, a descrivere un testo molto personale e toccante.
Un episodio diversificato ed eclettico, quasi progressive, è quello che s’intitola “While Time Is Left”: cambi di tempo da quattro a tre quarti, intro di flauto e piano in minuetto, orchestra sullo sfondo ogni tanto, rock valzer finale… c’è un po’ di tutto in soli cinque minuti e rotti.
Il blues in scaletta s’intitola ironicamente “I Hate the Blues” ed è un numero addirittura tripartito: inizia notturno e rilassato col solo pianoforte, poi accoglie il canto nel mid-tempo che intitola il tutto, infine scivola nella coverizzazione del coro gospel dei Coasters “Let’s Go Get Stoned”, un’invocazione che è tutto un programma, infatti la interpretava anche Ray Charles, uno specialista.
La sequela di opere sopraffine della ARS prende ad essere una costante: cinque stelle pure a “Underdog” con il quale si congedano dai prolifici anni settanta.
Elenco e tracce
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