Si può rendere esteticamente bella la morte?

Credo che Almodovar sia arrivato molto vicino a riuscirci (non nel senso dannunziano ovviamente).
La figura quasi eterea di Tilda Swinton, vestita di giallo, sullo sdraio verde, che ricorda la riproduzione del quadro di Hopper all'interno della villa, il primo piano sul suo viso truccato, le labbra rosso fuoco, l'ombra nera del suo profilo che si staglia sullo sfondo verde e lentamente sfuma, è un'immagine che resta dentro e che va direttamente a collocarsi nella storia del cinema.

Almodovar ha sempre avuto gusto coi colori, anche rischiando spesso di essere eccessivo. In questo film risulta più sobrio e misurato, ma ottiene lo stesso un risultato spettacolare. Tutti i particolari sono curati in maniera divina, la porta rossa, i vestiti dai colori accesi, il verde del bosco, il marrone e bianco della casa. Gli ambienti sono caldi, rassicuranti, non c'è una lampada, un libro, un poster attaccato al muro che sia fuori posto, che non racconti qualcosa. E poi i primi piani, la silhouette di Tilda Swinton sdraiata di schiena davanti alla vetrata, la sua testa inclinata a cui si aggiunge quella della Moore in secondo piano, nella stessa posizione, intenta a unire e a sdoppiare il sentimento di amicizia, la paura, la malattia. Anche l'appartamento di New York, con le sue le piante, quello della Moore (che per Turturro sembra arredato con gli scarti dei cassonetti) sono caldi e accoglienti come tutto il film. Un film che è una vera goduria per gli occhi.

Certo lo sviluppo della storia a tratti sembra procedere per tesi, dichiarazioni un po' al limite e empatie un po' toppo forzate (vedi il personal trainer). Almodovar sembra non accontentarsi di mettere tutti i puntini sulle "i" riguardo all'argomento eutanasia, ma allarga il discorso fino alla fine del mondo, causata dal neoliberismo, dal cambiamento climatico e dai governi di destra, bacchetta come al solito (e come è giusto che sia) la religione cattolica e ci ricorda che il sesso è l'unico antidoto gioioso e consolatorio contro la guerra. Ma lo fa solo en passant, al centro c'è un'antica amicizia femminile, la malattia, l'accettazione della fine, la dignità dell'essere umano, ma soprattutto la sua bellezza, che scaturisce dalla letteratura, dalla pittura, dal cinema, dalle arti in generale e dal condurre con maestria la macchina da presa a descrivere tutto questo. Un grande film di un grande regista.

P.S. per debaserbot (gli altri possono anche saltarlo) che poi lamenta la mancanza di un accenno alla trama e le eventuali citazioni e/o i premi vinti.
La storia è semplice, Tilda Swinton è un’ex reporter di guerra e Julianne Moore una scrittrice. Sono vecchie amiche che non si vedono da tempo. Moore viene a sapere che Swinton è malata di cancro e va a trovarla. Le cure non funzionano e Swinton decide per l’eutanasia, tramite pillola reperita nel dark web, perché illegale nello stato di New York. Ma non vuole essere sola, così chiede a Moore di accompagnarla in un luogo diverso da casa, non per assisterla, ma solo per stare nella “stanza accanto”.
I riferimenti si sprecano, su tutti Joice, ma anche il cinema, Houston, Rossellini e la pittura, Hopper e tanto altro ancora.
Il film è tratto dal libro "Attraverso la vita" di Sigrid Nunez e ha vinto il Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia del 2024.
Sullo stesso tema esistono parecchi altri film, mi limito a segnalarne due che mi avevano colpito particolarmente, anche se per ragioni diverse, quello di Ozon del 2021 “E’ andato tutto bene” e un film indipendente del 2019 “Paddleton” di Alex Lehmann.

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