Ricordo quando, ancora totalmente digiuno di qualsivoglia roba elettronica, nella mia ignoranza, definivo quel campo a me sconosciuto come qualcosa che poteva esser fatta in 2 secondi, mettendo dietro quattro suoni, facendoli sequenziare da un computer: ero un musicista allora classico, tastierista e cantante di diverse band, dal prog, allo psichedelicismo pynfloydiano, al doom sludge con venature black.

Correva l’anno 2005 quando, ascoltando quel capolavoro a nome Kid A, pieno di quell’elettronica che tanto snobbavo, decisi di approfondire la mia conoscenza in tal direzione e attratto da una copertina tanto minimale quanto bella (parlo di Amber dei qui recensiti), mi catapultai nello studio scoprendo un mondo che non era solo tunz tunz, ma poteva essere tanto intricato quanto profondo ed emozionale seppur generato da suoni non provenienti da strumenti tradizionali.

Da lì in poi scavai così a fondo nella materia, che ad oggi, l’elettronica, rientra tra i miei generi preferiti, scoprendo Aphex Twin, la Warp, tutta la cosiddetta IDM, ma anche trip-hop, ambient, experimental, drone, passando anche dalla dark wave e pure dalla techno, immersi il mio io in un panorama vastissimo e pieno di sfumature cromatiche, degne di poter stare se non superare tutti gli altri generi musicali.

Gli Autechre furono la mia chiave per entrare in tale mondo, come pocanzi detto, le personali colonne d’ercole che mi aprirono una visione nuova di ciò che amavo di più: la musica.

Adesso siamo nel 2020 e sono passati 7 anni da quando questo lavoro, Exai, uscì, sono passate talmente tante cose sotto i ponti che anche io da parecchio tempo faccio roba elettronica, e pur essendo anima e corpo in questo genere, sperimentando anche io, a tutt’oggi non riesco a comprendere come certe cose nella produzione Autechriana vengano fatte o solamente pensate.

Exai è un misterioso punto interrogativo musicale, un monolite lungo 2 ore (successivamente avrebbero rincarato la dose con le 5 ore di Elseq e le magnificenti 8 ore dell’ultima grandeur NTS), compendio esaustivo, penetrante ed emozionante di tutto ciò che gli Autechre (ma anche l’elettronica tutta) erano stati fino ad allora: si fa portavoce di quel linguaggio tra avant techno e melodie ambient presenti nella prima fase della loro lunga carriera, di quell’apparente regolarità e cupezza che trasudava da lavori monstre come Incunabula o Tri-Repetae (T Ess xi / Bladelores / Jatevee C). Inscena partiture oblique, synth mutanti, roboanti drum machine impazzite e distorte su reverberi anomali che qua e là entrano come a fondere il metallo circostante (vekoS / Flep / nodezsh / spl9). Passa da universi quasi normali, forti di ritmiche quasi standard per poi sgretolarsi man mano che la traccia prosegue (tuinorizn / irlite (get 0) / recks on / runrepik), immergendosi, come a voler far un attimo respirare, in strutture/non strutture ambient, mutevoli e luminescenti (Fleure / cloudline / YJY UX).

Gli Autechre con questo lavoro, aprirono la loro terza fase, dopo le bellissime armonie aliene sovrastate da impulsi anomali degli anni ’90, e dopo le scorribande ultra amorfe, cervellotiche e quasi prive di anima dei ’00. Con questo lavoro produssero un misterioso e invero bellissimo e profondissimo, seppur nella stesura algida e inumana delle sue composizioni, lavoro. Un gigantesco e tentacolare Chtulu musicale con cui ognuno che voglia capir di nuova elettronica deve confrontarsi.

Exai è e rimane il loro punto di non ritorno, 2 ore di discesa negli inferi di ciò che può essere e non può essere considerato Musica. Un compendio di avanguardia, che seppur dando vita a numerosi nuovi progetti (vedasi Arca, o la Herndon, e tanti altri ancora) rimane insuperato ed insuperabile.

Un cortocircuito quasi inumano che rende i suoi esecutori, Rob Brown e Sean Booth, due precursori nati, adesso come quasi 30 anni fa.

Carico i commenti... con calma