To the Friends

Anno di grazia 1989. I Signal escono con un album perfetto, ma la criminale distribuzione della EMI impedisce il botto. Qualche anno dopo, Mark Free diverrà Marcie, oscura segretaria di banca con tonnellate di demo scritte dalle gemelline Randall: tutti splendidi, tutti inediti, se non inseriti in qualche compilation da alcuni nerd salottieri. Il blue album di Mardones infiamma i cuori di ogni chic rocker che si rispetti. Lou Gramm giganteggia, prima di ammalarsi, col suo sguardo meditabondo; e poi Bonfire, Drive She Said, Giant, R. Marx (Oh, Angelia!), Strangeways ("Walk in the Fire è nella top ten AOR di tutti i tempi, à notre avis). Inspiegabilmente silente, tra il 1987 ed il 1993, S. Bush (a parte qualche colonna sonora per filmetti da oligofrenici).

Soprattutto, Jeff Cannata ha appena pubblicato il suo "Images of Forever", con sovraccoperta iconica. L'AOR, come il nostro uditorio sa ab urbe condita, costituisce non un genere: ma uno stile metamusicale, come il noir, in altro seriale ambito artistico, è la cifra estetica tratta dalla tragedia greca e contestualizzata nell'hard-boiled dell'estremo, postremo Occidente. Le lande del sol calante accolgono come calamite cotali derive estetiche -- estatiche.

Nel frattempo, noi al Pio giochiamo al giro, tra le siepi, e cerchiamo acqua mentre altri mettono le mani addosso alla più bella della classe: che ne ride, la svergognata, oggi triste maestra elementare.

Ma c'è un album che più di tutti definisce il genere qui compendiosamente definito. E' l'omonimo dei Bad English, che esce nel giugno del 1989, appunto. La scuola è finita, la messa postconciliare fa schifo, tanaliberatutti, invictis victi victuri.

La formazione del supergruppo anglostatunitense è da infarto: Waite alla voce, Schon alla chitarra, Cain alle tastiere, Castronovo alle pelli e il volpino Phillips al basso, più o meno inutile (il basso nell'AOR è importante quanto il sottoscritto per la storia degli studi di archeometria). Tutti rigorosamente bianchi: un negro, lo crediamo fermamente, è incapace financo di concepire un midtempo AOR; e non veniteci a raccontare che Beauvoir faceva AOR..: Il disco, prodotto da R. Zito, con al mastering G. Marino, venderà circa 2 milioni di copie.

Si parte con la giocosa "Best of What I Got", inserita su "Tango and Cash". Subito Schon mette le cose in chiaro: è lui la primadonna, Waite passa repentinamente in disparte, anche in concerto: i prodromi della fine sono già contenuti nell'incipit del primo pezzo. Finis initium.

"Heaven Is a Four Letter Word" è una possente ballata in cui si sente la mano del Signore dell'AOR, Mark Spiro. L'intro induce all'assunzione di betabloccanti, la strofa è suadente, Schuon tende la sua sei corde fino all'iperbole, nel refrain da manuale di un ultimo romantico, mentre Cain -- responsabile di tutte le song, a parte "Don't Walk Away" e "When I See Your Smile" -- cesella cromati ricami agli avori. Bridge, ancora, da cardiopalma: "it's a long way 'til dawn". Riff scontato, ma trascinante. Nel video Schon e Waite amichevoli: ma è tutta una farsa.

Sublime "Possession", col volpino tra i credits. Una ballad magnifica, acronica. Stupendi intro e strofa, il refrain per cuori infranti l'avrete cantato mille volte sotto la doccia: un uso irrituale di un capolavoro del rock cromato, di certo. "The trace of your lipstick, I can taste your perfume... leaves a space in this room" vale i 100 dollari dell'edizione nipponica.

"Forget Me Not": ancora la mano di Spiro per una track rocciosa ma radio-friendly. Il volpino si fa sentire al'inizio: poi sparisce, giustamente. Notevole intro, felpato e notturno, diremmo à la Michael Thompson. Incedere drammatico e dinamico come non mai, poi l'epslosione del refrain: "I will be your keeper/you possess the key/forget me not/cos' you belong to me".

"When I See Your Smile", n. 1 in USA, è opera di Diane Warren, la più prolifica songwriter in circolazione. Ballad esaltante, ci rammenta il giro della scuola mentre gli altri scopavano. Notevole il lavoro di Castronovo dietro le pelli: egli sembra prepararsi al pestaggio della moglie, che avverrà qualche tempo dopo.

La a-side termina con una bomba: "Tough Times Don't Last". Come ci faceva notare un nostro carissimo amico, la song è arrangiata in maniera lussuosa, ma l'affermazione del titolo risulta, a chi abbia davvero vissuto, del tutto falsa. La vita è dura, anche per gli chic rockers.

La b-side ha inizio con "Ghost in Your Heart", dal titolo vagamente psicanalitico. Si tratta di una ballata il cui refrain è anticipato dalla cascata di note di Cain e dal drumming possente di Castronovo. Strofa e solo da antologia.

"Price of Love", n. 5 Billboard, è una summa AORster per cuori senza speranza. Track perfetta, refrain degno di una nottata casta con Gegia.

Alcuni riempitivi (in parte "Ready When You Are", la buffonesca "Laydown" e l'inutile "Rockin' Horse") non elidono l'eccelsa valenza storica, artistica ed estetica del full lenght: si termina con le fulminanti "The Restless Ones" e "Don't Walk Away". La prima costituisce un inno dall'urgenza adamantina, con intro tastieristico vagamente à la Survivor, quel quid di influenze swing e il drumming ancora iperbolico di Castronovo; la seconda un ultimo ballo d'addio, mentre l'universo mondo implode su se stesso.

Non si è arreso nessuno, in questa desolata terra dei sogni infranti.

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