Ahhh, la techno, come potremmo vivere senza? Soprattutto al suo apice nel corso degli anni novanta, grazie al contributo da parte di autori più o meno mitologici. Tra i meno conosciuti però rientrano i Bandulu, team inglese attivo per tutta la decade ma che verrà giustamente ricordato per il Guidance in oggetto, fulminante debutto del gruppo nel 1993 che però non ha forse goduto dell'esposizione di artisti simili. Magari qualcuno se l'è lasciato sfuggire, ed è il momento giusto per riparare.

Guidance è sostanzialmente una sessione techno-tribale, con una nota trance, ma non troppo. Si tratta di 10 tracce molto lunghe, le più esili non scendono sotto i 5 minuti, mentre le maggiorate raggiungono o superano molto volentieri i dieci. Guidance è la title track che stabilisce immediatamente le regole dell'album: beat in quartina molto strutturale e inserti ritmici jungle-tribali, inclusi sample vocali a tema ben dosati e un intricato mosaico di synth melodici. La composizione è molto interessante, per niente banale; nonstante il brano giochi con pochi elementi, sa gestirli al meglio senza annoiare mai l'ascoltatore. Musica per il cervello camuffata da ballo, in realtà si intravedono i contorni della EDM per la scelta certosina di sonorità, che oggi risultano datate ma che non smettono mai di affascinare. Da notare la sporcizia generale del mixing, l'album è concepito come una dj session, ci sono quindi delle sbavature nella progressione dei suoni che rendono il tutto ancora più vitale e selvaggio, nonstante sia tutta musica generata da macchine. Il disco tradisce poi l'origine analogica, materiale ghiottissimo per gli appassionati, corre un abisso con la pulizia cristallina e disturbante delle produzioni attuali. D'altronde la tecnologia è cambiata fortunatamente per il meglio, ma purtroppo non le idee.

E qui le idee non mancano di certo, come il basso ipnotico di Messenger, sposato con una mesmerizzante serie di arpeggi, ma è con Revelation che si comincia a fare sul serio: un missile di dieci minuti, con i primi quattro cucinati in una suadente salsa ambient. Poi però partono delle percussioni brutali e in delay degne del migliore AFX d'annata: una goduria totale. Peacekeeper gioca con un basso pulsante e hat distorti, sembra di ascoltare gli Spooky ed è solo un grande complimento. Earth 6 recupera i sample tribali e una linea di basso dai contorni house, idem Flex, mentre per Better Nations si scomoda addirittura Carl Craig, scusate se è poco. Invaders è un altro monolite di quasi 12 minuti e l'ennesimo episodio altissimo del disco. In questa occasione i ritmi si placano per lasciare spazio a una danza cosmica immersa in una sinfonia di synth spaziali; colonna sonora per terrestri che contemplano lo spazio, sogni con i piedi ben saldati a terra. Indovinate un po'? Il discorso si chiude con Tribal Reign, all'insegna dell'eloquenza più spudorata. Ritorna per l'occasione il beat in quartina e tutto uno straordinario gioco di sample invertiti con affresco ritmico forsennato, è una musica che semplicemente oggi non si fa più e cha fa scendere più di una lacrimuccia.

Non è da escludere che questo cult sia sfuggito alla vostra libreria, magari distratti dai vari Aphex Twin e Future Sound of London. Se non avete paura di cimentarvi con un dinosauro spaziale di 23 anni vi invito a farvi avanti, vi assicuro che vi sentirete assolutamente a casa.

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