Mentre gli adolescenti italiani manifestano voglia di avere promiscuamente a che fare con il mondo dei trentenni nella speranza di lievitare tre metri sopra il cielo, quelli statunitensi, abituati alle cose in grande, alzano la posta. Ann Hathaway smette di aspettare il principe azzurro e, dopo esser passata sotto le grinfie del Diavolo vestito Prada, staziona nell'alta società di Bel Air in qualità di Allison Lang figlia viziata di una ricca e indaffaratissima coppia. Allison insieme all'amica Emily (Bijou Phillips) decide di evadere dal gruppo di amici dediti a scimmiottare la cultura gangster per entrare a far parte di una vera gang. Così iniziano a frequentare la 16 strada, ghetto dei latinoamericani. Qui incontrano Hector (Freddy Rodriguez) malavitoso tutto tatuaggi verso il quale Allison prova una strana attrazione.
Durante una partita di poker le due chiedono di essere sottoposte al rito di iniziazione per unirsi alla banda, ossia lanciare un dado: il numero che esce corrisponde al numero di persone con cui le due ragazze dovranno fare sesso. Ad Allison esce uno e sceglie Hector mentre alla malcapitata Emily tre. La prima decide però di ritirarsi mentre la seconda vuole continuare ma la cosa si trasforma per lei in uno stupro di gruppo. Emily denuncia l'accaduto ed Hector finisce in prigione. Allison, spinta dai rimorsi, rivela ai genitori dell'amica il reale corso degli eventi e tenta invano di fermare i vecchi amici di un tempo dal proposito di uccidere gli scagnozzi di Hector.
Barbara Kopple, rodata documentarista statunitense, perde il pelo ma non il vizio. Infatti la pellicola si apre, si snoda e si chiude con le riprese di un ragazzo intento a filmare la "gioventù annoiata d'America". Le suddette riprese avrebbero un valore sicuramente più elevato qualora facesse da cornice ad un film che non faccia acqua da tutte le parti. La trama in fin dei conti è assimilabile a quella di numerosi altri lungometraggi (come ad esempio il migliore "Thirteen"): un gruppo di ragazzi con le spalle coperte dai soldi e dall'appoggio dei genitori se la spassa anche oltre certi limiti senza avere minima percezione della virtù finanche della distinzione fra bene e male. Giocano a fare gli adulti cattivi e questo innervosisce i veri adulti cattivi, che nella fattispecie sono i latinoamericani (dopo gli italiani, rigorosamente del sud, e dopo i neri è il loro turno...).
La pluripremiata regista tenta lodevolmente di non scadere nel banale osando davvero: fa mostrare il seno alla Hathaway, riprende la scena dell'iniziazione di Allison e Emily tappa per tappa e non risparmia stomachevoli degenerazioni dei tipici party da college. Nello stesso concetto rientra una delle scene finali del film in cui i tre ragazzi pronti a difendere l'onore macchiato dell'amica stuprata, inconsapevoli dei retroscena, fanno irruzione nel covo dei gangster e iniziano a sparare ma non trovano altro che due donne impaurite delle quali una stringe al petto un neonato. I tre vengono posti faccia a faccia violentemente con la pericolosità del loro gioco che li avrebbe portati ad uccidere degli innocenti. Il mondo dorato di "Beverly Hills" e "The O. C." viene capovolto per illustrarne le pecche. Gli stessi protagonisti vivono secondo questi modelli come rimprovera Hector ad Allison.
Provare a spogliare il problema della gioventù americana dal pesante fardello dello stereotipo non riesce ma i suoi sono semplici tentativi e, si sa, l'inferno è lastricato di buone intenzioni. Tutto risulta inutilmente eccessivo e in alcuni punti si scade nella vera e propria banalità, come accade alla colonna sonora tutta hip-hop e alle scene di rissa immotivata. Un affresco semi-riuscito della nuova generazione americana insomma. La buona recitazione degli attori "salva il salvabile", ma c'è poco da fare.
Il film è dedicato alla sceneggiatrice Jessica Kaplan morta nel 2003 in un incidente aereo.
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