“Tu fai la doccia, Ray, vero?”
“Sì”
“La pioggia è la stessa cosa, ci si bagna un po’ ”
“Certo, la doccia si fa nel bagno, sempre”
Molti diranno che “Rain Man” è un film troppo “hollywoodiano”, o lo condanneranno come troppo buonista o lacrimevole, dando per scontato che una storia su un autistico, se trasposta su pellicola, e in certi termini, meriti poco a livello artistico. Dov’è la creazione? Dov’è l’invenzione cinematografica? Dov’è l’elemento che stona, che fa storcere il naso, che affronta lo spettatore con la volontà di non compiacerlo? Tra i detrattori, sicuramente c’è una buona parte che può averla pensata così, durante la visione, come alla ricerca di un qualcosa di tremendamente trasgressivo, non convenzionale. Invece “Rain Man” è un film grandioso proprio perché non esagera.
Un road movie con una trama che, probabilmente, più semplice e convenzionale non si può: due fratelli si incontrano da adulti, dopo essere stati separati in tenera età – uno dei due è autistico, l’altro vuole sfruttare la condizione dell’altro a proprio favore, ma, col passare del tempo, gli si affezionerà a tal punto da abbandonare ogni utilitarismo.
Non è tanto la ricchezza della trama a rendere la pellicola convincente, non tanto l’incipit, non tanto la fine, ma quello che c’è nel mezzo, e lo stile che viene usato, molto semplice, realistico, quasi naif. Questo ha aiutato sicuramente il grande pubblico a immedesimarsi e ad apprezzare una storia tanto delicata, quanto comune, ma si tratta piuttosto, in principio, di una scelta registica intelligente – perché pregnante nel suo voler essere nient’altro che sé stessa – quella di emozionare con il minimo, con quello che ci si aspetta, e allo stesso tempo che non ci si aspetta, suscitando così sia la risata che la riflessione.
Ok, la musica trasuda anni Ottanta, le atmosfere sono molto leggere; Tom Cruise non è un attore così carismatico e comunicativo – un po’ come John Travolta che, come Cruise, fa la sua porca figura per come si presenta –; i dialoghi e le situazioni non sono chissà quanto elaborati … Diciamo un ok a tutto questo, ma (e questo “ma” va sottolineato) non è questo il punto, non per “Rain Man”.
Il film di Barry Levinson (che interpreta anche una piccola parte, alla fine) è costruito su un crescendo di emozioni non indifferente, che porta sia lo spettatore, sia i personaggi stessi, a vivere l’escalation, attraverso una successione di situazioni verosimili, che, però, si risolvono in assurdità tragicomiche.
La fantasmagorica recitazione di Dustin Hoffman, che ha visto l’Oscar per essa, ne rappresenta l’ossatura, permette alla vicenda di avere luogo. Cruise subisce un percorso di formazione grazie al fratello che non aveva mai saputo di avere; Raymond/Rain Man, invece, rimane lo stesso sempre, inevitabilmente, pur provando emozioni che non avrebbe provato se non grazie al fratello.
Il gioco di parole basato su una storpiatura infantile (Raymond, pronunciato male da un Charlie Babbitt bambino) è una delle trovate geniali del film. La scena dell’autostrada, da cui parte definitivamente il viaggio coast-to-coast dei due fratelli: un altro aspetto geniale.
La morale della "favola", che non vuole accontentare nessuno, è che bisogna, in talune situazioni, accettare semplicemente le condizioni che ci sono, non cercare di cambiarle, ma piuttosto plasmarsi in base a quelle, per riscoprire sé stessi.
Il finale, che non rivelo, per chi non avesse visto il film, risulta ben lontano dall’idillio che si vorrebbe. Magari alcuni vorrebbero una svisata sul tema, riscontrare un’anomalia, ma Levinson, e gli sceneggiatori (Ronald Bass e Barry Morrow) conoscevano la realtà dell’autismo, e, nel rappresentare un soggetto autistico, hanno voluto, e sono di fatto riusciti a portargli rispetto.
Curiosità:
- la pellicola è ispirata a una storia vera – quella di Kim Peek, un “idiot savant”;
- la scena finale fu girata durante lo sciopero degli sceneggiatori;
- Valeria Golino fu scelta perché aveva un accento esotico, non “quadrato”, non freddo;
- Tom Cruise era reduce dal successo di “Top Gun” quando venne ingaggiato per “Rain Man”;
- Dustin Hoffman inizialmente doveva interpretare il ruolo di Charlie Babbitt, fratello dell’autistico, ma poi, essendo venuto a contatto con persone affette da autismo, decise di cambiar ruolo e abbracciare tutte le particolarità del personaggio centrale (“l’uomo della pioggia”).
Voto: 8,5/10
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