Nessuno sembra ricordarsi dell' ultima fatica, "ne troppo remota, ne molto recente", di uno dei musicisti più importanti del secolo scorso: Ace Quorthon.

Codesto lavoro è intitolato "Nordland II", un album che pose fine a molti progetti: inanzitutto fu l'ultimo capitolo di una saga iniziata mesi prima da "Nordland", "ma se fosse ancora vivo, potremmo parlare anche di Nordland III e IV", e soprattutto, conclude in modo più che degno, la cosa più importante: una carriera quasi priva di errori, costellata di successi e intrisa da ideologie guerrafondaie e ostruzioniste, (rivolte ovviamente alla chiesa), ma del tutto giustificate. "Nordland II" però, non è solo il capo linea: un disco unico nel suo genere, (che per varie dissimilitudini, si distingue dal precedente). Commuovono le urla disperate del canzoniere, solo a pensare che quello che sta dicendo, sono praticamente le sue ultime parole; insomma, è un disco che bisogna stringere in mano per poterne parlare in completezza.

Le composizioni uccidono completamente sia il Black Metal, sia i testi satanici degli esordi, "processo che era iniziato fin dai tempi di Hammerheart". Oramai, Quorthon ha speso ogni parola per contestare la filosofia cristiana, e decide saggiamente di parlare della sua terra, chi ci ha vissuto e chi, nel passato, la resa famosa; altro argomento di cui era esperto. I nostri, ci presentano un metal pesante come lastre di ghiaccio, basato su un Viking melodico e arricchito di cori maschili addetti all'onorificazione del sound, e un epic agghiacciante e molto lento. Purtroppo, bisogna riconoscere che Quorthon inizia a mostrare delle evidenti lacune, deludendo non poco per colpa di una voce a sprazzi piatta e incompatibile con il tessuto sonoro dei brani.

Nulla di più epico, freddo e solenne era mai stato concepito dalla band: un intro, un outro e otto pezzi che racchiudono, ciascuno, più di un emozione. L'evocativa Fanfare, ci trasporta sulle rive di un lago ghiacciato, e in lontanza, s'intravede una nave vichinga che s'avvicina minacciosamente. Proprio mentre i vichinghi approdano, scoppia la battaglia: forse i motivi folk di Sea Wolf e il cantato poco espressivo di Vinland non convincono ad un primo approccio, ma la magnificenza di The Land non può passare inosservata. Segue poi la violenza Death and Resurrection of a Northern Son e la parle maestosa The messenger, ma la purezza cosmica è raggiunta solo dal finale: The Wheel of Sun, dove la voce ricorda vagamente quella di "Blood Fire Death" e "Hammerheart", restando comunque pulita, e la batteria funge da un rilassante secondo piano, a tratti inesistente; ormai, tutto è stato saccheggiato, tutto è stato distrutto, qualsiasi cosa rasa al suolo.

Dedicata a Quorthon: un uomo che ha influenzato una fetta grandissima del metal; la sua intelligenza lo ha reso leggenda, proprio come i miti di cui raccontava le gesta nelle sue canzoni.

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