Il 2015 segna il ritorno dei Battles, a 4 anni di distanza da “Gloss Drop”. Il gruppo, ormai consolidatosi in trio dopo la dipartita di Tyondai Braxton, pubblica un album dal titolo e dalla copertina quantomeno discutibili.

Ciò che salta subito all’occhio, pardon all’orecchio del nuovo lavoro della band di casa Warp è l’assenza di inserti vocali nella tracklist, in altre parole “La Di Da Di” è interamente strumentale. I 3 si lasciano dunque alle spalle i vocalizzi distorti e pitchati di Braxton presenti in “Mirrored”, così come le ospitate di “Gloss Drop”.

Progressioni frenetiche, pervase da un groove al limite del nevrastenico; kraut, funk, post-rock velocizzato, metal, sperimentazione, elettronica e ritmicità afro combinati insieme. Niente di nuovo rispetto a quanto i Battles ci avevano già abituato in passato.

Sia chiaro i pezzi hanno tutti un tiro pazzesco, ma manca il guizzo di genio (leggi “Atlas”) che in passato poteva essere garantito dall’apporto di Tyondai. “La Di Da Di” è tutt’altro che un brutto disco, ma ha come limite una certa monotematicità compositiva e al tempo stesso non sembra dirigersi verso nessuna coordinata precisa.

Ai Battles va, comunque, il merito di proporre un sound unico, che non ha eguali su piazza: un math rock tanto robotico e spigoloso quanto, seppur atipicamente, ballabile e dance, senza onanismi di sorta e senza risultare cervellotico. Altro punto a favore è la coesione del combo newyorkese: John, Ian e Dave dimostrano di conoscersi a memoria, oltre che di essere musicisti più che navigati (in virtù di un background musicale con - rispettivamente - Helmet, Don Caballero e Lynx).

Tuttavia a confronto con i due album precedenti non può che rappresentare un passo indietro, più al livello evolutivo che al livello qualitativo. I Battles si rintanano nel territorio che più gli si confà, nella loro comfort-zone, sperimentali ma senza sperimentare.

“La Di Da Di” sono i Battles, senza i compromessi “pop” di “Gloss Drop”. I Battles nella loro essenza attuale. Inutile parlare di una traccia o di un’altra, quello in questione è un disco che va fruito dall’inizio alla fine come fosse una suite. 50 minuti di adrenalina e ipercinetismo in tempi dispari.

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