AVVERTENZA: la seguente recensione è stata scritta dopo l'ascolto del suddetto album per circa una decina di volte. Se, dunque, vi accingete a leggerla senza aver ancora ascoltato l'album o avendolo ascoltato in sottofondo per un paio di volte, allora qualcosa potrebbe non tornare. Vi consiglio di ascoltarlo attentamente prima di commentare/criticare. Grazie!!

Che piaccia o meno, nella loro decennale carriera discografica, con all'attivo 5 album, i Baustelle hanno tracciato un percorso ben definito; o, almeno, lo stanno tracciando. Dall'indie pop/rock dell'album di esordio, alle atmosfere elettroniche de "La moda del lento", fino alla svolta con "La malavita" (e connesso matrimonio con una major discografica, la Warner) e la popolarità di "Amen", è chiaro cosa stiano facendo questi ragazzotti toscani: la loro musica ha segnato lo sviluppo del pop/rock italiano degli ultimi 10 anni, da una nascita underground fino alla popolarità. Perchè, piaccia o no ai puristi che piangono ogni volta che vedono un artista indie diventare famoso, i Baustelle sono stati capaci di spostare l'attenzione (e il talento) del pop/rock, prima rigorosamente indie, ad un pubblico più vasto, facendo da capofila ed esempio ad una generazione di gruppi italiani che rispolverano strumentazioni rock pur nell'orecchiabilità del pop (chi meglio, ci peggio). E che, per fortuna, ci salvano dalla dicotomia cantautore (che non ce n'è più)/artista-pop-poco-impegnato (che ce ne sono troppi) che sembrava albergare nella tradizione italiana (e che ha relegato gli artisti di talento e che facevano rock proprio nella scena underground). Dio salvi i Baustelle!!

"I mistici dell'occidente" è un'opera che continua nella ricerca di melodie pop (nel senso di orecchiabili, popolari) pur nella ricerca stilistica e nella creatività compositiva (che si serve, sovente, anche di suoni più o meno rock) che in Italia abbiamo in rarissimi casi...e non, certamente, nella musica pop: per intenderci, quella che spacca le classifiche, che passa su Mtv, che fa urlare come delle pazze ragazzine di 12 anni, etc... Quello che intendo dire è che si tratta di un album tanto prezioso quanto raro, unico caso di musica scritta, suonata e composta in maniera non standardizzata e appiattita sui canoni pop, pur essendo pop. Solo dei geni potrebbero sintetizzare l'orecchiabilità pop, la scrittura cantautorale e la musicalità non convenzionale e sempre working progress. E loro lo sono. E dove li mettiamo "La malavita" e "Amen", direte voi? Working progress, ripeto io: se "La malavita" ha segnato una svolta e "Amen" ne è un successore (non per forza migliore, ma comunque uno sviluppo su quella traccia), quest'ultimo album dimostra un'ulteriore crescita della band, e, a parere di chi scrive, è migliore di entrambi.

Ma veniamo ai dettagli.

"I mistici dell'occidente" è uno scritto di Elémire Zolla, filosofo, il cui titolo ha ispirato il Bianconi per questa sua ultima fatica. In esso (nell'album, intendo) assistiamo ad uno sviluppo rispetto ad "Amen" anche dal punto di vista delle tematiche: se nel predecessore c'era una critica non velata al mondo e alla modernità, descritta in molti dei suoi aspetti, in questo album Bianconi si pone più in là, verso le risposte e le soluzioni di questi problemi. I quali, riguardando la realtà tutta, dovranno trovarsi al di là di questa. Da qui la decisione di riflettere sui mistici, coloro che hanno perseguito questa strada di distacco dalla realtà cercando ciò che conta veramente al di là di essa.

Il tono speranzoso dell'opera è già espresso nella prima traccia, "L'indaco", che si apre con due minuti di introduzione musicale per poi sfoderare un testo di incoraggiamento, tutto con toni quasi "cullanti", e concludersi con una frase che indica direttamente il messaggio dell'album: "...forse c'è, al di là di Gibilterra, un indaco mare". Lo stretto di Gibilterra era la sede, nella mitologia, delle Colonne d'Ercole, oltre le quali, si pensava, finisse il mondo. Ebbene, possiamo comprendere come Bianconi, dunque, ci indichi di andare al di là della realtà quale ci viene mostrata, al di là delle apparenze, per cercare il senso più profondo della nostra vita. Qualche esempio su come fare? Track no.2, "San Francesco". Scusatemi, ma io vado pazzo per questo pezzo: l'arrangiamento (con quel riff di chitarra iniziale), la voce di Bianconi, il testo: è una delle canzoni meno dirette, forse la meno diretta, dell'album, ma più l'ascolto più mi prende. Ma torniamo a noi. San Francesco è una figura esemplare, anche per un ateo come Bianconi: un uomo che si è spogliato di tutto, di tutta la corruzione della sua vita precedente per affidarsi a Dio. Se in "Amen" bisognava studiare Baudalaire, qui il testo ci dice che "San Francesco si diventa". Testo il quale ci dice anche "Ciò che impari dalla vita, non è vero". Altro indizio del rifiuto attivo della realtà che vuole inculcarci quest'album. La title-track "I mistici dell'occidente" (che musicalmente all'inizio non mi piaceva per nulla a causa di quelle strofe arpeggiate a mò di salmo medievale, ma che poi ho riapprezzato anche grazie ad un ritornello la cui esplosività musical-testuale è ancora più accentuata proprio dall'antitesi con la strofa) rincara la dose: "Ci salveremo disprezzando la realtà", sintomo di una sfiducia in chi comanda questo mondo, dato che siamo "equipaggi persi in alto mare. Forse il presidente - rigorosamente con la minuscola - non lo sa". Geniali.

Bene, dopo questo trittico "impegnato", passiamo ad episodi un po' meno "mistici" e più "reali". Parlo di "Le rane", pezzo riuscitissimo e stra-pop che dimostra come si può comporre melodie semplici e catchy pur non essendo banali, e il cui testo è una fotografia nostalgica: Bianconi ricorda con un amico i momenti in cui erano giovani ed ingenui nella loro umile realtà di campagna mentre pescavano rane negli stagni, ora che invece il richiamo della città, simbolo di corruzione, li ha attratti. Il testo recita "Che fine hai fatto, ti sei sistemato? [...] L'ultima volta ti ho visto cambiato" poi "Io nel frattempo me ne sono andato, se vuoi ti ho tradito [...] la piscina di un agriturismo ha coperto le rane". Il fatto che questo amaro ritratto sia esposto con una musica così leggera è il marchio agrodolce dei Baustelle. "Gli spietati", che abbiamo sentito e risentito, offre due soluzioni all'amarezza della realtà: l'immersione completa in essa, e la conseguente vita senza pietà per fronteggiarla a viso aperto, oppure la fuga, come i due amanti che non sono altro che esempi di come si può puntare lo sguardo al di là della realtà, verso qualcosa di più grande, che la annulli: proprio come due persone che, amandosi, sembrano in un altra dimensione. Dice Bianconi: "C'è un amore che non muore mai, più lontano degli Dei". Sante parole. Un'atmosfera cupa ci introduce a "Follonica". Sebbene il sindaco della suddetta cittadina non l'abbia presa bene, il testo non è una critica alla sua spiaggia: essa è solamente una metafora giustificata da ragioni metriche (a detta di Bianconi, Follonica ci stava meglio di altri nomi) per gettare del fango sulla caducità e la tristezza della realtà: gli uomini sembrano come dei rifiuti buttati sulla spiaggia del mondo. E l'immagine del protagonista che fa il bagno sembra voler essere un "non voler vedere" o un "lavarsi dalla sporcizia" di questa realtà. La critica alla superficialità ed al menefreghismo viene espressa da espressioni come "Buttati lì", "Gettati via", "vinti ed immobili", etc... Se l'atmosfera si stava facendo pesante, ecco che arriva "La canzone della rivoluzione", gran pezzo prettamente rock composto da strofe pesanti e martellanti e da un ritornello trascinante come pochi. La canzone induce ad una reazione contro la realtà, quasi da volerla rivoluzionare rispolverando "un amore perduto in mare trent'anni fa", per riaffermare tutto ciò che la realtà ha corrotto: "per i cristi assassinati senza una verità", "per quel che era sacro e non è più", "perché gli ultimi diventino i primi, per la tua coscienza lurida lavata a metà".L'esempio di chi vive la realtà in maniera superficiale è dato da "Groupies" e dalle sue protagoniste. "Vivere [...] è così, come mangiare una mela" recita il testo, che critica l'atteggiamento, tipico anche del Don Giovanni kierkegaardiano, volto al "tutto e subito", che non guarda al di là dell'immediato e sotto il fenomeno, come invece ci consiglia quest'album. Dal punto di vista musicale, forse è l'episodio meno felice dell'album...ma ce ne fossero di episodi infelici come questo! Possiamo dire che perde nei confronti degli altri brani solo perchè sono quasi ineccepibili. "La bambolina" è un'altro ritratto, che Rachele ci presenta come quello di una donna che, come una bambola, non ha una propria personalità: "a tutti risponde di si". Ciò che sorprende è il ritornello, quasi una preghiera verso Dio, chiedendogli attenzione anche per queste figure che sembrano essere senza una speranza di riscatto: "che sia liberata dai sogni e dai falsi bisogni, non compri, non esca, non cresca, sia vera". Musicalmente, è una marcia trascinante che, però, non si fa largo fra i top del disco pur essendo degna di stare in questa bellissima composizione.

Avviandoci fino alla fine del disco, ci imbattiamo nella prima vera e propria ballata sentimentale: "Il sottoscritto", che con il suo incedere lento si sposa perfettamente col testo e diventa un ritratto commovente ed esposto davvero col cuore da parte di un Bianconi che, anche nell'autobiografico (forse) e nel sentimentale, ha un talento d'autore pari a pochi. Sembra che si tratti di una richiesta di perdono verso un'amante perduta, in cui l'autore cerca di rispolverare i momenti passati assieme e tutti quelli che potranno ancora accadere per riacquistare la fiducia ormai andata. Indispensabile un momento così in questo disco, sicuramente uno dei migliori episodi. Per chi stava ricominciando ad avere sentori di smielata riflessività, ecco che arriva come una boccata d'aria fresca la smentita: "L'Estate enigmistica". Si tratta di un brano vicino alle atmosfere spensierate del primo disco, a ricordare che i Baustelle non rinnegano nulla di ciò che hanno fatto e si ricordano bene di chi erano. E a ricordare che, pensandoci bene, loro, e solo loro, sono capaci di porre davanti ad un pubblico vasto una certa realtà musicale, e il loro percorso non è stato un compromesso per la popolarità sputando sul piatto dove mangiavano agli esordi. Un pezzo estivo, non c'è dubbio, candidato, come "Le rane", a prossimo singolo. "E il messaggio dell'album dov'è?" direte voi. Ebbene, il Bianconi riesce ad infilarcelo anche in questo pezzo: "bambina, voglio bere un'aranciata perchè amara sfinge è la realtà, e io non ho più l'età per riuscire a illudermi". Il disco si conclude con "L'ultima notte felice del mondo", un'altra splendida ballata in cui la voce di Rachele ci traghetta in una dimensione da "Gli spietati", in cui la protagonista descrive come l'amore possa escludere dalla realtà, possa essere la risposta alla negatività della vita e l'unico modo "per dimenticare di essere soli, di essere soli per sempre". Se la realtà è negativa, essa va annullata. Per annullarla, o si è mistici (ergo, ci si concentra su qualcosa al di là di essa) o si è innamorati (ergo, ci si concentra su una persona sola, reale, ma che ha il pregio di distogliere, comunque, l'attenzione dalla caducità del mondo). Il disco non poteva concludersi meglio.

Mi scuso per essere stato troppo prolisso, ma questo disco ne valeva la pena. Non è perfetto, ma 9/10 se lo merita. Dato che si va a stelle, e che qui si tende ad essere sempre troppo generosi, io gliene do 5.

Buona lettura e buon ascolto di questo capolavoro.

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