Premessa: Amen.

Paradossalmente i Baustelle sono ancora e sempre loro ma in maniera diversa. Dopo l’album "Amen", ascoltato fino alla nausea, c’erano i miei interrogativi: con "Amen" i baustelle si fanno conoscere ad un pubblico piu vasto, conservano molto del loro vecchio stile (tra il dandy e l’esistenzialismo, con una grande verve poetica-pessimista) ma si discostano un po da quell’impronta minimalistica, fatta di Bassanova e suoni elettronici per sperimentare suoni piu elaborati attraverso numerosissime collaborazioni artistiche; in un certo senso le musiche sono -almeno strumentalmente- piu pompate e rock-melodiche (basti pensare al singolo Charlie fa surf). Risultato eccellente, sia personale, che di pubblico e critica. Le conseguenze: Primo maggio, riviste popolari, mtv… che ne sarebbe stato di loro?

I MISTICI DELL'OCCIDENTE 

No, anche con "I Mistici dell’occidente", sono ancora loro; sono con una major che ha prodotto dischi per U2 Rem e Madonna, e consapevoli di ciò … Per Diana che album impegnato e difficile che ci fanno. sono ancora quel gruppo alternativo con un irresistibile fascino intellettuale, che ci deliziano con melodie facili ma al tempo stesso turbanti, quasi inquiete e stucchevoli. Annunciato con il singolo (e videoclip) "Gli Spietati", ci presentano ancora quell’aspetto concettuale del clima Western (di cui sarà contaminato tutto l’album) deliziosamente presentato nella traccia nascosta “Spaghetti Western” dell’album precedente. Anche qui un titolo ed una atmosfera quasi cinematografica, anche qui una melodia tanto bella quanto triste, ritornelli efficaci ed uno stile ancora come ai tempi di "Amen". E’ un brano bellissimo di un amore spietato, che giunge al termine, doloroso forse necessario; la musica con quei violini e quelle trombe sui pezzi della voce così suadente di Rachele e Francesco è forte, emotiva e rassicurante: ma allo stesso tempo è triste!!! E come fu per "Charlie" che ci presentò un nuovo album dei Baustelle pieno di sfaccettature interessanti; succede anche con i mistici, con questo singolo de "Gli Spietati", che non si vuole mai togliere dalla testa. E ascoltandolo, trovandosi – vuoi per coincidenza, vuoi per autosuggestione – nella fase più adatta per concepirne quel sapore agrodolce delle parole, unite a questa melodia Spietata perchè triste, spietata perchè vera, ti farà innamorare dell’album ancora prima di comprarlo Il videoclip degli Spietati è un lavoro grafico molto attento: il regista Daniele Perisca usa colori, filtri e lenti di cinepresa particolari per ricreare un contesto alla Andy Warhol (ben ricreata da una attrice) e la sua factory. Se con "Spaghetti Western" in "Amen", Morricone, volontè e tutti i protagonisti del filone venivano parallelizzati ad un occidente (o ad un Italia) agli sgoccioli; il videoclip nel recuperare questo stile – come dire: Alla cinecittà – vuole impegnarsi sul sociale: la pubblicità, la mercificazione e la spietatezza industriale, rappresentata (ironicamente) in Detersivi e Pelati Baustelle, con quale combattere rispettivamente il bullismo (o le macchie di sangue) e la depressione di oggi.

Il paradosso è che nonostante la concezione melodica ancora si presenta riuscita come in quel cambiamento sinfonico di "Amen" (vincitore del premio tenco) rispetto ai precedenti album; al tempo stesso i Baustelle ritornano ai giri quasi tetri di quando cantavano canzoni sugli adolescienti, ancora abbiamo quelle melodie degli esordi, tristi e inquietanti, ma dotate di un fascino acustico delizioso e invocativo. Proprio per questo l’album non risulta affatto Omogeneo: i 12 (13 ad essere pignoli) brani sono molto diversi tra loro. Ci sono i baustelle delle origini, quelli moderni, ed in un certo senso quelli nuovi più sperimentali: quindi si alternano pezzi rock, ad altri più classici e tranquilli in uno schema abbastanza poco lineare. Ma tutto questo non è affatto negativo, tutt’altro fa avvertire come questa Band non abbia deciso di gettarsi verso i facili consensi, ma che è ancora alla ricerca di un miglioramento ed un perfezionamento artistico. Ma in un certo senso è proprio così: c’è del forte rock; ma allo stesso tempo atmosfere più corali; ed ancora poco coerentemente alcuni brani molto docili e di melodia quasi classica, come la deliziosa ballata in pianoforte, molto struggente e particolare, “il Sottoscritto” in cui Bianconi non demorde nel pessimismo, con un senso di sconfitta e di un perdono emotivo che sembrerà non giungere mai, e “l’ultima notte felice del mondo“. Che la confezione generale di questo album voglia spingersi su livelli culturali piu alti, ce ne accorgiamo dal bellissimo Artwork che di primo impatto sembra una parodia a sgt.Pepper’s ma che invece è ben piu ispirato a Tropicalia degli OS Mutamentes. Con quell’aspetto, alla ossa di seppia, con quel fascino del ritratto di famiglia ottocentesco, di setta e predicazioni (probabilmente quelle della chiesa giurisdavidica di David Lazzaretti ben presente nel quadro in bianco e nero) Stesso discorso per i testi, come al solito significati impercettibili ai primi ascolti, ma poi via via facilmente intuibili e decifrabili: misticismo (oltre alla materia e le passioni, per disprezzare – nel senso di togliere un prezzo – la realtà), religiosità (Da S.Francesco alle poesie di Jacopone da Todi) , il tempo che passa (il cui segno rimane), fatica e ricerca, ma anche morte. E tante altre cose belle quanto sofferenti. 

"L’indaco" è il brano più poetico, si annuncia con un delizioso motivo di accordi delicati e molto emotivi che introducono la voce di Rachele e Francesco (come sempre perfetta insieme) “Non angosciarti piu, che bisogno c’è, quando partono le rondini, lasciale andare…”; si sviluppa su contesti poetici e melodie impervie, con i toni cadenziati che fanno del tutto quasi un dipinto melodico che sa osannare la vita, ed incoraggia alla ricerca della felicità; stranamente quindi un brano così triste, è effettivamente tutt’altro: “non buttarti giù che in fin dei conti c’è un azzurro che fa piangere, oltre le nubi” In S.Francesco l’adolescente Rosalpina non trova un senso alla vita; il brano sviluppato su melodie che alternano un rock quasi grezzo a sinfonie melodiche ma screziate, è un brano amaro, carico di titoli di film di Pasolini e di una visione “Da porcile” della borghesia dinnanzi al sacro Si giunge poi alla canzone principale: “I mistici dell’occidente“: una vera delizia. La prima strofa è “Amore di povertà non conosce guerra” una frase di Jacopone da Todi, come sempre sua è “Disprezzare la realtà” poi affiancata a “E Questo branco di coglioni sparirà” per dotarla di quella forza attuale del linguaggio comune; il brano poggia su di uno schema compositivo davvero particolare: inizia con un ritmo quasi medioevale, cadenziato ed accompagnato dal suono di arpe; i ritornelli sono quasi operistici, ma il tutto poi sfocia nell’ormai – di loro natura – contesto “westernofilo” che sembra proprio un pezzo di colonna sonora alla Morricane, per poi sembrare un grande omaggio alla De Andrè. Tra i pezzi meno tristi (ma solo musicalmente) di tutto l’album si ha "Le rane". Una canzone quasi ballabile, per un ritmo quasi divertente. Ma è ancora la tristezza, e la malinconia (altri tempi quando si andava a caccia di rane) che ben sa rappresentare il contorno quasi drammatico della provincia conformata, e del tempo inesorabile che passa “perchè il tempo ci sfugge, ma il segno del tempo rimane”; il Pezzo che più preferisco è il successivo “Follonica“: è una canzone da brividi, che in un certo senso mi ha ricordato i giri ripetuti ed insistenti dei vecchi loro brani, come la canzone del parco; qui c’è Montale e gli ossi di seppia, il ritmo è quasi fantasmagorico, verso un perduto riconoscimento dell’identità di un posto Altro brano che mi ha colpito fin dai primi ascolti è “L’estate enigmistica” molto "Amen" in un certo senso; molto rock ed esuberante; non altrettanto angosciante è La canzone della rivoluzione, molto piu ritmica, anch’essa piu rock (e comunque particolarissima per i tempi metrici, per gli sfondi di organo, e per i cori) dove Bianconi scuote gli animi inneggiando ad una nostra rivoluzione per lo meno individuale e morale. In "Groupies" Rachele sa essere drammatica, il brano è rispetto agli altri e a mio parere leggermente piu debole nel coinvolgimento della melodia, non fosse in realtà per una riuscitissima atmosfera da cinema, sia per come inizia, ma soprattutto per un incredibile crescendo quasi cavalleristico alla Ennio Morricone con il quale i nostri mostrano di aver preso fin troppo la mano, e che riprendono subito nella successiva “la bambolina”.

E’ un album molto complesso, che nonostante tutto ci ripresenta i Baustelle, i quali sono stati in grado di essere sempre loro ma al tempo stesso di essere diversi, questo è ciò che più mi ha colpito del loro lavoro: personalizzarsi quanto piu possibile, fare un miscuglio di generis per dare un contribuito artistico che se prima aveva qualche eguale nel panorama italiano, ora invece è chiaro: sono unici.

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