Quinto disco per i Beach House, una delle formazioni indie e dream pop piu' promettenti degli ultimi anni, per coerenza artistica, alta qualita' musicale ribadita di album in album (la trilogia in crescendo Devotion, Teen Dream e Bloom ne sono la prova) e talento live. Hanno ribadito in una recente intervista che, come fu per quel capolavoro pop chiamato Teen Dream del 2010, una leggera svolta musicale e' stata presa per questo Depression Cherry (un nome un programma).

Dopo il pop fragoroso e oscuro di Bloom, volevano tornare all'intimismo lo-fi da cameretta. Riuscendo a creare un lavoro prezioso ed interessante a meta'.

Non mancano i pezzi pop super catchy e mielosi che hanno fatto lo stile riconoscibile del duo Scally-LeGrande (nati come esperimento su ispirazione Mazzy Star e Cocteau Twins nell'era hipster-Pitchfork) come PPP (un tributo vero e proprio a Devotion), Levitation e Space Song, tra le piu' belle del disco. Mentre non convince per niente la lentissima chiusura di Days of Candy o lo shoegaze alquanto rumoroso del primo singolo Sparks.

Il problema sta nel fatto che fosse sorprendentemente piaciuta a molti, sia tra il pubblico che tra la critica (due giudici troppo spesso inconciliabili musicalmente parlando) quella svolta radio friendly, pop e levigata iniziata col loro terzo sopracitato album del 2010, proprio perche' risultava ancora piu' evidente cosi' il loro innegabile talento melodico, la loro forte ironia tra le righe da nerds e soprattutto la loro peculiarita' in un ambiente musicale odierno fin troppo saturo di band tristemente imitatrici di Slowdive, Ride e My Bloody Valentine.

Forse volevano osare dopo due album molto simili, forse erano a corto di idee stilistiche. In ogni modo questo si dimostra il loro primo mezzo passo falso a distanza di anni.

Assolutamente godibile per i grandi fan.

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