Qualcuno ha definito questo debutto insufficiente, altri lo ritengono disastroso ed inascoltabile; sulla band, ai tempi dell'esordio, ne sono state dette di tutti i colori. Tutto ciò va a confermare una mia tesi che da anni vede la presenza di una dilagante esterofilia tra i giornalisti di settore nel nostro paese, che di conseguenza influenza il giudizio dell'ascoltatore medio, sempre propenso a sparare a zero su alcuni gruppi solo per il fatto che questi siano italiani. Ora i Beholder non esistono più (è chiaro che il titolo di quest'album non è stato per la band una dichiarazione d'intenti); hanno deciso di chiudere questo capitolo per dedicarsi ad altri progetti. Ciò permette dunque di recensire questo disco con maggiore obbiettività.
Innanzitutto eliminiamo da subito gli ingombranti paragoni con i ben più noti Rhapsody (ormai Rhapsody of Fire); i Beholder non fanno uso di synth in maniera spropositata e sovrabbondante, lasciando che siano le chitarre di Matt Treasure e Markus Mayer a dettare ritmiche di chiaro stampo speed-power ed a costruire le linee melodiche delle varie canzoni. Tutti però sanno che questa ricetta è stata abusata da migliaia e migliaia di formazioni. Ebbene, tra assoli al fulmicotone, tempi accelerati e cavalcate in doppia cassa, cosa possiamo salvare del primo lavoro della band? Cosa differenzia "The legend begins" dal marasma di opere appiattite da cliché che per anni hanno invaso il mercato del power metal?
Per prima cosa un distinguibile marchio di fabbrica: l'alternarsi di vocals maschili e femminili, ad opera di Patrick Wire e Leanan Sidhe (alias Valentina Buroni, la quale ha ultimamente collaborato con l'ex Anathema Duncan Patterson per il progetto Ion), detentori di timbri piuttosto particolari per il genere in questione. Veramente abile e perfino leggermente ostico all'ascolto il primo, un po' statica e quasi perennemente ancorata alle tonalità medie la seconda. Questo stile vocale, che è stato in larga misura abusato da molte band gothic metal, risulta in questo caso abbastanza piacevole e rende l'ascolto meno monotono (anche perché, vista la scarsa eterogeneità di stili adottati, la noia potrebbe facilmente sopraggiungere), ma tuttavia mancano dei veri e propri picchi interpretativi o passaggi degni di essere ricordati. È inoltre un peccato che i due cantanti si limitino a svolgere ruoli alternati anziché cimentarsi in duetti ed amalgamarsi in una sola voce; con un po' di lavoro in più su questo fronte la riuscita dell'album ne avrebbe sicuramente giovato.
I pezzi veloci (predominanti nella prima metà del platter, ad esclusione di un'intro orchestrale) sono garbati e dinamici, ma credo tuttavia che i Beholder abbiano dato il meglio nei passaggi più lenti, come nell'intermezzo "The journey", dove Leanan diventa un menestrello in gonnella, cantando una bella melodia medioevale che esplode nella successiva "The oath", tra chitarre roboanti, cori accattivanti e la tastiera allegra ed ispirata di Pete Ryan che simula una fisarmonica (finalmente anche questo strumento, per quasi tutta la seconda metà del disco, si ritaglia un po' di spazio). La successiva "The fallen kingdom" è molto melodica e sinfonica, assestata per la maggiore su tempi medi; tra le sue melodie medievali qua e là fanno capolino i vecchi Rhapsody, ma i Beholder sanno come distinguersi (l'alternanza vocale è come sempre efficace). C'è spazio anche per una dolce semi-ballata dove echeggiano perfino i Queen, ovvero "Until darkness falls", la quale sorprende soprattutto per la diversa performance dei due singer (bellissimo l'intreccio finale, l'unico dell'intero album), molto più intensa e sentimentale e chiaramente basata (a differenza degli altri pezzi) sull'interpretazione anziché sulla potenza.
Certo, le prerogative per far si che i pezzi dell'album siano apprezzati da una vasta gamma di ascoltatori sono fin troppo latenti, dunque i non appassionati di power metal e coloro che ancora non conoscono la band non troveranno una benché minima materia trascendentale all'interno di "The legend begins", magari un diversivo, mentre tutti quelli che ancora cercano una variante agli abusati temi di Helloween e Blind Guardian dovrebbero indubbiamente appropriarsi della discografia di questo gruppo.
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