Inizio con lo scusarmi per questa mia assenza della quale nessuno avrà sentito la mancanza e della quale men che meno qualcuno esigerà delle scuse; ma non vi scordate che io sono un ragazzo Brutal, quindi faccio cose Brutal, ed è molto Brutal scusarsi con qualcuno che non ha bisogno di scuse per un'assenza che non ha nemmeno notato.

La storia dei Bendiction comincia molti anni fa, all'incirca all'inizio dei fertili anni novanta (in realtà inizia sul finire degli ottanta, ma i primi dischi ufficiali iniziano a circolare solo nel'90) e continua fino ai giorni nostri. La storia dei Benediction comincia a Birmingham (e si può supporre che non sia cominciata in un lussuoso palazzo del centro) quando un omone che si chiama Mark ma si fa chiamare Barney decide di mettere su una band. Il tizio in questione è niente meno che Mark "Barney" Greenway, singer dei concittadini Napalm Death: dopo questo disco del 1993, pubblicò coi Benediction ancora "The Dreams You Dread", sorta di ristampa del primo Ep, quindi (dopo avere tenuto il piede in due scarpe per ben quattro anni) abbandonerà la formazione per la più importante band di cui sopra. Eviterò doverosamente qualsiasi commento e passerò direttamente alla descrizione dell'album...

Come avrete notato la data di questo cd è leggermente posteriore a quella dei Masterpieces del genere e genererà non poche perplessità in chi lo conosce; e a ragione dal momento che il Death venato di Doom dei nostri beniamini è fortemente influenzato da quella sconosciuta band del Wisconsin che risponde al nome di Accidental Suicide (per non dire che hanno attinto a piene mani dal "rifframa" di questi ultimi). I Benediction hanno però un'attenuante, cioè che gli Accidental Suicide si fossero sciolti l'anno prima e, ad essere sinceri senza voler fare i pignoli a tutti i costi, il fatto di riprendere i "cugini" americani non gli impedisce, tutt'altro, di scrivere una gran bella pagina di Death Metal (di quello bastardo!). Nonostante il complesso di Birmingham insista molto sui rallentamenti, le numerose accelerazioni impediscono di dargli l'etichetta di Doom Death Metal band; innegabile d'altro canto che si sentano in molti passaggi sfumature alla Incantation, che solo due anni prima pubblicavano il loro debutto "Onward To Golgotha".

La formula dal precedente "The Grand Leveller" è rimasta pressoché la stessa, ma complessivamente "Transcend The Rubicon" risulta più ricco; ricco di momenti speciali, ricco di groove e ricco di riff. Oltre alle band sopraccitate, troviamo in questo disco (obbligatoriamente) riferimenti al Death più grezzo e primitivo dei primi Death e degli Entombed, insomma, di tutto quel Death nel quale ancora si sente aleggiare lo spirito del Thrash, puzzolente di birra e di olio minerale. Il risultato sono dodici canzoni per quasi cinquanta minuti di durata (un "bestione" nel Death) di atmosfere sulfuree ma mai opprimenti e sempre misurate con l'attitudine diretta e sdrammatizzante dei nostri. Ad aiutare il tutto una produzione dosata con il contagocce ma non per questo affettata e, quel che è più importante, in grado di preservare l'essenza di un disco come questo; uno siparietto orrorifico di Serial Killer e violenza totalmente disimpegnato, pura finzione scenica.

D'altra parte Greenway lo conosciamo, e sappiamo che i temi che ama trattare sono quelli socio politici e non queste facezie qua... Non per questo dietro al microfono si da meno da fare, anzi, appare assolutamente indiavolato ed in forma; i suoi vocalizzi sono cresciuti dai tempi del lavoro precedente e ora si muove meno goffo (solo metaforicamente, fisicamente ha messo su un bel po' di chiletti) tra growl di varie tonalità. Tuttavia un cantante un po' più agile avrebbe giovato all'album e contribuito a vivacizzare anche i momenti meno coinvolgenti. Ma a quello in fondo ci pensano i chitarristi; una prestazione abbastanza tecnica la loro, lontanissima dai virtuosismi di contemporanei come Suffocation o Gorguts ma imprescindibile sotto il profilo esecutivo. Forse la fantasia non è il loro forte, ma se uno compra un disco dei Benediction non si aspetta di sentire chissà quali stramberie, si aspetta di sentire suonare Death metal. E basta. In questo i nostri non possono essere attaccati e così anche il drumer; quest'ultimo è perfettamente complementare ai suoi colleghi e riesce a non annoiare pur attinendosi ai canoni del genere. Rari i blast beat, molto più usati i classici ritmi Thrash alla Slayer (tanto per fare un nome) conditi però di quel "quid" di potenza in più che gli fa fare il grande salto fino al Death.

"Transcend The Rubicon" è collocabile sullo stesso livello di "The Grand Leveller"; forse meriterebbe qualcosa in più, quattro stelle e mezzo, ma dal momento che la sua esistenza è inequivocabilmente dipendente dall'album di cui sopra, devo approssimare per difetto. Resta però un gran disco di Death metal senza troppe bardature e godibile anche da chi questo genere non lo ascolta a colazione. Purtroppo sarà proprio questo a chiudere la stagione dei Benediction che, in seguito, se ne usciranno con release decisamente fiacche.

Un altro nostalgico sguardo verso il passato.

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