"King Crimson" giapponesi? Si, molto probabilmente si. Ma in presenza di certe etichette è bene muoversi con i piedi di piombo, soprattutto nel momento in cui gli Yonin Bayashi (altra leggenda del Prog nipponico) sono spesso catalogati come "i Genesis" o persino "la PFM" del Sol Levante - definizioni che mi sentirei di censurare senza esitazione. Al di là delle innegabili vicinanze stilistiche col Re Cremisi (affinità di cui si è detto e scritto tanto), i Bi Kyo Ran sono soprattutto una formazione in possesso di una solidissima identità propria, considerando anche il fatto che hanno iniziato ad incidere quando il momento magico del Prog "anglico" si era ormai concluso da tempo (il primo, omonimo, long playing è datato 1982). Si è tanto insistito sulla derivatività della loro proposta, sul fatto che facessero musica interessante per certi versi ma poco originale in quanto a contenuti, io sottolineerei invece il fatto che la loro interpretazione dell'arte di Fripp e soci è stata tutt'altro che pedissequa imitazione; per certa critica tutti i loro album sono fotocopie, solo leggermente variate, di "Red", io dico invece che è difficile poter semplificare tutto ad affermazioni simili. Primo, perché i King Crimson non sono l'unica fonte d'ispirazione riconoscibile, benché senz'altro la più evidente (siamo in presenza di un gruppo che incide pezzi di nome "Vision Of The City" o "21st Century Africa": non ricordano nulla certi titoli...?). Secondo, perché il gruppo di Kunio Suma dimostra di saper fondere insieme le diverse incarnazioni del Re nell'arco di tre decenni, non limitandosi alla mimetica riproposizione del suono di "Red" o di qualsiasi altro album: in altre parole, nella loro musica sembrano convivere "In The Court" (specie per l'uso del mellotron), la trilogia "Lark's Tongues"/"Starless"/"Red" (nelle contorsioni distorte di chitarra e violino e nell'aggressività del basso) e la recente trilogia di inizio '80, peraltro non ancora conclusa al momento dell'uscita del qui presente "Parallax" (l'imprevedibilità del sostrato ritmico, sovente sottoposto a sdoppiamento e sovrapposizioni).

Con "Parallax" siamo nel 1983, un anno dopo la pubblicazione dell'esordio; difficile poter replicare un capolavoro, se non con un altro capolavoro. Sorprendentemente i Nostri ci riescono, per giunta con un lavoro ancora più complesso del precedente, ancora più incentrato sulla suite come modulo espressivo privilegiato: due lunghi brani sul primo lato, una lunga sequenza di movimenti sul secondo (cui è riservato l'emblematico titolo di "Suite Ran"). La spontaneità prevale sul tenicismo, la ricerca di soluzioni originali prevale sul tradizionalismo e sulla "maniera". L'originaria formazione a tre dei Ran si allarga ai contributi esterni del tastierista (o meglio, "mellotronista") Toshio Egawa, del violino di Toshihiro Nagahishi e - nella suite conclusiva - di un'intera sezione fiati orchestrale un po' sul modello di "Atom Heart Mother", riproponendo così - seppure in forme particolarissime - la tradizionale dicotomia Rock-Classica.

Sontuosa l'apertura di "Silent Running", ove è subito evidente la matrice frippiana del chitarrismo di Suma, e all'irrompere del cantato del leader ci si chiede se Adrian Belew non abbia imparato il giapponese... Sferzate di chitarra pressoché isolate, mentre  basso e batteria assecondano la voce in un contesto più che mai cupo, oscuro, desolante; dei tre pezzi in scaletta, questo è senz'altro il più accessibile, il più "lineare" in quanto a struttura d'insieme (per quanto possa valere il termine), il più legato a certi stilemi di Rock "classico". Almeno fino a che la ritmica non s'innervosisce, e a quel punto l'esplosione della chitarra (e, senza soluzione di continuità) del violino indirizzano lo svolgimento del brano su sentieri tortuosi e difficili (da apprezzare l'unisono fra i due strumenti in conclusione della sezione solistica).

"Prediction" è un capolavoro assoluto di sensibilità strumentale e acume compositivo. Qui è il mellotron a dominare nella prima parte, richiamando la sinfonia di "Epitaph" o "In The Wake Of Poseidon", quando la chitarra ha già esposto il tema disegnando una romantica evoluzione moderna di "Starless". E quelle rullate alla batteria, subito dopo, cos'altro ricordano se non quelle che accompagnavano "l'ingresso a corte del Re" (a buon intenditore, poche parole)...? La genialità dei Ran sta proprio nel non fermarsi alla banale riproposizione di questi spunti, ma nel saperli attualizzare con scelte nuove e sensazionali, non ultima la sovrapposizione di due strati corali in controtempo (magia della post-sincronizzazione di studio, si dirà, ma i Nostri sapevano ripetere certe prodezze anche dal vivo, e anzi è proprio dal vivo che davano il meglio di sé). Segue, su tema assolutamente atonale, quello che amo ricordare come uno dei più grandi assoli di chitarra che abbia mai ascoltato in ambito Prog: stellare la sequenza di note che Suma sa inanellare in un costesto di pura estasi esecutiva, comprimendole e dilatandole a dismisura con possenti legati, passando dall'asettica impalpabilità della prima fase ai suoni distorti, violenti della seconda.

In una climax ascendente che non sembra potersi interrompere, si gira lato e si viene introdotti allo schizofrenico splendore della tanto attesa suite, ineffabile mostro a più teste corrispondenti ad altrettanti movimenti; movimenti che confliggono, anziché amalgamarsi, come nella migliore tradizione crimsoniana, alimentando e confermando la varietà di ventuno minuti da brividi. A partire da quegli inquietanti campanellini alla Oldfield prima maniera, mentre gocce stillano come brevi impressioni dalla chitarra del leader; un'illusione di serenità presto frantumata dal basso inesorabile di Masahide Shiratori e dal secco picchiare della batteria, con la chitarra che non tarda ad adattarsi al contesto fino all'avvento di trombe sinistre che riecheggiano lontane. Segue l'esposizione di un groove quasi-Funk di basso e batteria, breve picco prima di un consequenziale avvallamento occupato dal mellotron. Lentamente l'impasto prende corpo fino a debordare nello straniante esplodere di una sezione di puro, delirante "noise", reso ancor più tremendo dall'ibrida sovrapposizione di batteria e percussioni elettroniche. La chiusura è appannaggio della chitarra e di una tranquillità imperturbata, siderale.

Ascolto indispensabile. 

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