La cosa più sorprendente della bella musica, di quella che si può definire tranquillamente con l'aggettivo "d'arte", è la sua capacità di attraversare indenne il tempo, di tagliare questa entità fisica con la facilità del proverbiale coltello nel burro; su di Lei (scusate il maiuscolo, ma io sono un tipo all'antica e alle signore, quelle vere, quelle di classe, porto il dovuto rispetto) lo scorrere degli anni non produce effetti: niente rughe o borse sotto gli occhi, anzi la sua bellezza cresce talmente tanto da sconfinare nella leggenda, da spingere il pubblico ad abbassare lo sguardo e trattenere il fiato, insomma arriva quasi ad incutere un timore reverenziale.

Ed è con questo spirito che mi accingo a parlare di un lavoro molto particolare ed interessante, cioè "At The Montreux Jazz Festival" di Bill Evans, accompagnato per l'occasione da Jack DeJohnette alla batteria e da Eddie Gomez al basso: un vero e proprio trio delle meraviglie! Certo, in molti diranno che il sodalizio tra Evans, Scott LaFaro e Paul Motian è imparagonabile ed imbattibile, sia sul piano dell'interplay che su quello prettamente tecnico, ed io non voglio di certo dire il contrario, ci mancherebbe! Però anche la formazione di cui vorrei parlarvi in quest'occasione possiede un qualcosa di incredibile, un'energia quasi palpabile ed una coesione tale da esemplificare alla grande il concetto stesso di "band", "gruppo", "collettivo musicale", o come altro volete definire un certo numero di individui che, riuniti insieme, producono della musica.

L'album in questione è una registrazione del concerto che i nostri hanno tenuto il 15 Giugno 1968 presso il prestigioso festival jazz di Montreux e vanta anche la vittoria di un Grammy nel 1969 come miglior album Jazz strumentale, un premio che il buon Evans aveva già vinto in precedenza e che farà nuovamente suo in seguito, ma questa è, come si suol dire, un'altra (aggiungerei io: splendida) storia. Tornando a questo live, ciò che mi preme molto sottolineare, non è tanto la performance di ogni singolo componente del trio, ovviamente perfetta e tecnicamente ineccepibile, ma l'umiltà con cui ognuno dei musicisti si è messo a disposizione dell'altro e, di conseguenza, della musica stessa, un fatto, questo, che secondo me è la vera essenza della formazione a tre, cioè il riservare la propria individualità per il momento del solo (molto bello quello di Jack DeJohnette) e per il resto dell'esibizione farsi guidare solo ed esclusivamente dai brani, senza sovrapporsi agli altri o instaurare una "guerra" a suon di divagazioni o prolungamenti vari che poco mantengono del mood iniziale dell'album (un rischio che di certo non corre lo Standards Trio di Keith Jarrett, tanto per prevenire qualche critica doverosa).

In base a quanto detto fino ad ora, sembrerebbe, quindi, di essere davanti ad un capolavoro, una specie di album classico, magari da consigliare, accanto ai vari "Kind Of Blue" di Davis, "Giant Steps" di Coltrane oppure "Time Out" del Dave Brubeck Quartet, a chi si vuole avvicinare ad un genere particolare come il Jazz; ebbene io credo che sia proprio così! Perché in un lavoro come "At The Montreux Jazz Festival" c'è tutto ciò che un neofita dovrebbe sapere ed imparare ad apprezzare di quest'espressione musicale: abbiamo la tecnica, l'interplay, la passione e soprattutto l'atmosfera, quella sensazione di benessere fisico e mentale che solo i grandi album ti riescono a dare, infatti ascoltando questa esibizione, alla fine, si è come catapultati in un altro tempo e in un altro luogo, poi, quando purtroppo finisce, viene quasi la voglia di applaudire ed alzarsi, convinti di essere lì, a Montreux, nel 1968, non nella propria casa, seduti su una poltrona e per giunta nel 2012! E' quello che dicevo all'inizio: la grande musica non subisce il tempo, ma lo piega al suo volere e se Evans, Gomez e DeJohnette hanno preso la decisione portarvi indietro per più di quarant'anni, beh posso assicurarvi che ci riusciranno, perché alla fine l'arte cos'è, se non un'ancora per i sognatori, per quelle persone che, dopo una giornata in mezzo al rumore e alla futilità, si commuovono per una sequenza di note dalla musicalità sublime, oppure che corrono a casa per andare a trovare i loro amici di carta, al fine di vedere se riusciranno o no a sfuggire a chissà quale strano disegno del destino; ma c'è anche chi si perde su una tavolozza di colori o che in un volto dipinto vede l'ideale di donna, o di uomo, che va strenuamente cercando.

Si potrebbe andare avanti per ore, ma io alla fine preferisco concludere dedicando questo mio piccolo scritto, magari mal redatto ed insignificante, a tutti i sognatori che navigano nel cyberspazio alla ricerca di qualcosa che non sanno neanche loro bene cosa sia, voglio salutarvi con un piccolo consiglio per gli acquisti, si chiama "At The Montreux Jazz Festival" di Bill Evans, Eddie Gomez e Jack DeJohnette, sicuramente non vi cambierà la vita ma, posso assicurarvi che, nel caso in cui abbiate bisogno di un qualcosa di bello lui sarà sempre disposto a darvelo. "At The Montreux Jazz Festival": Bill Evans, piano; Eddie Gomez, bass; Jack DeJohnette, drums.

Elenco e tracce

01   One for Helen (05:22)

02   A Sleeping Bee (06:06)

03   Mother of Earl (05:15)

04   Nardis (08:24)

05   I Loves You, Porgy (06:01)

06   The Touch of Your Lips (04:45)

07   Embraceable You (06:46)

08   Someday My Prince Will Come (06:09)

09   Walkin' Up (03:45)

10   Quiet Now (06:26)

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