La contraddizione creativa comincia dalla copertina: sotto un titolo traducibile nella frase "Tu devi credere nella primavera" spicca un bel disegno che raffigura degli alberi brulli ed una nebbiolina che li avvolge, disegno perfettamente in linea con l'atmosfera delle esecuzioni contenute nel CD: atmosfera da pomeriggio autunnale, con la pioggia che batte fuori dalla finestra ed una miriade di pensieri che ti passano per la testa mentre la osservi.

Quindi l'invito del titolo va a farsi benedire... del resto la composizione che porta il suo nome, una canzone del compositore francese Michel Legrand scritta per la colonna sonora del film "Le giovani ragazze di Rochefort", è qui resa in una versione nostalgica ed evocativa davvero pregnante, che nonostante si colori moderatamente di swing nell'assolo centrale del pianista, non riesce assolutamente a distoglierti dallo sguardo fuori alla finestra di cui sopra; anzi, lo approfondisce, invitandolo magari ad accompagnarsi con un bicchiere di Ballantines per il palato. La contraddizione creativa continua all'ascolto: è davvero incredibile la dicotomia fra il mondo interiore di Evans, uomo dall'animo tormentato, alle prese con una tossicodipendenza che lo accompagnerà per buona parte della sua vita, intristito ed incupito dalle sue vicende personali e familari, ed il candore e l'innocenza della sua musica, che si estrinseca in una delicatezza ed un lirismo impareggiabili: egli si permette il lusso di aprire l'opera con un "Valzer in si minore" di sua composizione dedicato alla prima moglie Ellaine (suicidatasi dopo aver appreso la sua intenzione di divorziare da lei) che non sfigurerebbe affatto al confronto con quelli degli autori romantici ottocenteschi per struttura, fragranza melodica e coinvolgimento emotivo dell'ascoltatore.

Qui non siamo più nell'ambito del jazz, l'improvvisazione durante i tre minuti e dodici del valzer suddetto è completamente assente, ma non si potrebbe affermare altresì che ci troviamo sul terreno della musica classica propriamente detta, in considerazione del sostegno offerto dal contrabbasso e dalla batteria... molto più semplicemente, ascoltiamo la musica di Bill Evans, che si palesa nuovamente nei quattro minuti di poesia dell'eccezionale "We will meet again", dedicato al fratello Harry (che si toglierà la vita di lì a breve!!!). La splendida melodia del brano in questione lascia davvero senza fiato: e viene da chiedersi come mai un simile gioiello non sia stato recuperato dopo la morte del pianista, a mò di omaggio alla sua figura, magari dal trio di Keith Jarrett! Si è preferito lasciarlo qui, tra le pieghe di questo splendido lavoro, a testimonianza perenne dell'arte evansiana. La contraddizione finale racchiude e riassume le altre: siamo in presenza di uno dei migliori risultati artistici dell'intera carriera di Bill Evans, il suo pianismo col passare del tempo è diventato ancora più intenso e coinvolgente, i partner che lo assecondano nella circostanza sono quasi al livello di Paul Motian e Scott la Faro (un Elliott Zigmund che ha immerso le bacchette in batuffoli di cotone prima di posarle dolcemente sui piatti della batteria ed un Eddie Gomez dalla cavata profonda, il quale si cimenta pure in alcuni assoli notevolissimi), la qualità di registrazione e sonora è di altissimo livello qualitativo... ed il Nostro non ti va a morire dopo solo tre anni da un simile capolavoro?

Addirittura, non aveva dato il benestare alla pubblicazione, e così esso uscirà sul mercato discografico solo dopo la sua scomparsa. In questo modo, paradossalmente, le ombre che lo avvolgono avranno un preciso ed ulteriore significato, ed il suo carattere malinconico ed intimista risalterà perennemente in qualità di testamento.

Il testamento di uno dei più importanti musicisti del ventesimo secolo, senza alcun dubbio.

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