La surrealtà mentale di Björk mi ha sempre affascinata, ma non ho mai amato fino in fondo quest'artista: sono purtroppo sempre rimasta ai confini del suo mondo irreale, tentando di muovere una ricerca spettrochimica per arrivare a fare mio il "gelo incantato" della sua musica. Ma sempre invano.
Questione di sensibilità.

Avevo poi letto, qua e là, commenti su "Medúlla" che mi avevano tenuta alla larga dall'ascolto. Perché parlavano di un disco nuovo privo di arrangiamenti elettronici, incentrato esclusivamente sulla voce: un disco narciso di autocelebrazione, raffinato, sí, ma troppo artificioso.

Immaginando una Björk troppo vitrea e solitaria mi aspettavo quindi un giudizio negativo sul suo nuovo lavoro.
Invece mi è sembrato completo, affascinante e coraggioso, ricco di sfumature, arricchito dalla partecipazione di Mike Patton - invisibile ed ipnotico, dal duetto ultraterreno con il leggendario Robert Wyatt e, soprattutto, dall'intervento dell'Iceland Choir, che cala in un'atmosfera vorticosa e sommersa; si ha la sensazione di camminare sulla punta dei piedi pur essendo posseduti da vampate di vertigini.
Il resto del disco è un vero e proprio esercito flebile di voci che guidano verso atmosfere di pace devastante e profonda irrequietezza grazie a sentori di sublime surrealità, tipiche essenze della creatura islandese.

Ci si sente nella culla notturna dei pensieri, assaporando il docile travaglio dell'anima che vaga rigida in un'incredula visione. Come un animale che, felpato, si addentra in un germoglio di ultrasuoni per incontrare un inconscio immaginario.

Bisogna comunque dire che il disco non è piaciuto a tutti e in generale ha diviso in due le opinioni. Personalmente l'ho trovato una bella scoperta, apprezzato soprattutto perché è piacevole potersi ricredere sulle cose ed è una soddisfazione non indifferente abbandonare lo stato di rassegnazione per far spazio ad un genuino compiacimento.

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