COLAZIONE DA TIFFANY  (1961)

Per Holly Golightly non c'è nulla di meglio al mondo che rifugiarsi da Tiffany, magari per una colazione all'alba. Irresistibilmente chic nei suoi Givenchy, la Holly impersonata da Audrey Hepburn mastica trasognata di fronte all'austera e comprensiva Tiffany, l'unica in grado di portare una quiete irreale nella caotica New York.

A spingere la giovane da Tiffany non sono certo i brillanti - che "prima dei quaranta fanno cafona" -, bensì le "paturnie", quella improvvisa paura di non si sa che cosa. Holly aspetta di trovare un posto dove sentirsi così al sicuro come da Tiffany: solo allora si sentirà in diritto di dare un nome al suo gatto e smetterà di scappare dalla sua anima selvatica, che l'ha portata a girovagare da una famiglia all'altra, dalla provincia alla metropoli, dall'amore di un marito devoto a innumerevoli vermi e supervermi tra cui cercare un facoltoso che le garantisca la sicurezza materiale. Nel frattempo, affida la sua penosa contabilità a un boss detenuto che la sfrutta come ignara messaggera di piani criminali, nel vano tentativo di risparmiare per poter mantenere sé e il fratello. E' in questo marasma che Holly fa la conoscenza del suo nuovo vicino di casa, scrittore rassegnato in stagnante crisi creativa, che si fa mantenere da una ricca donna sposata. Come vuole il copione della più classica delle commedie romantiche americane, le affinità elettive dei due li condurranno all'happy end da favola.

In realtà l'omonimo romanzo di Truman Capote del 1958 su cui si basa la sceneggiatura di George Axelrod era decisamente più aspro e meno consolatorio, ma il personaggio originale resta la tormentata, frivola, fragile, contraddittoria, ingenua, irriverente e spaventata Holly. Il regista Blake Edwards (Victor Victoria, La Pantera Rosa) sa far rilucere Holly della grazia della Hepburn, che leggiadra sguscia via da una festa degenerata così come da un incriminazione per complicità malavitosa. La colonna sonora è firmata da Henry Mancini (La Pantera Rosa), che in quest'occasione ottenne ben due statuette: Miglior colonna sonora e Miglior Canzone per la malinconica "Moon River". Il film nel complesso ha un intreccio compatto, dal ritmo agile, grazie anche ai dialoghi talvolta leggeri, talvolta taglienti; la nota comica è data dal vicino di casa pseudo giapponese (Mickey Rooney), tormentato dalla svampita Holly.

Dolceamaro, il ritratto di una giovane donna in fuga da se stessa, spaventata dalla responsabilità di una vita adulta, disillusa verso l'amore, terrorizzata all'idea di perdersi in un'altra persona e di dover rinunciare alla libertà. La libertà come ultima spiaggia di valori di una bambina abbandonata con il fratellino dalla sua stessa famiglia, di chi è stato privato di tutto e a cui non resta altro da salvaguardare. Libertà che diviene infantilismo, di chi non vuol crescere mai e si barcamena tra espedienti nel tentativo di venire a capo della paura di vivere.

O la paura di fallire, che diventa la rassegnazione del protagonista maschile Paul (Gorge Peppard), amante mantenuto all'inizio del film, che grazie a Holly ritrova dapprima la vena creativa, poi il proprio lavoro, infine la dignità e l'amore.

Da non sottovalutare la prova attoriale del docile gatto fulvo Putney.

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