Il “Culto dell’Ostrica Blu”. Non sembra certo un nome che possa attirare potenziali ascoltatori. A meno che non siano insaziabili consumatori di molluschi. Oppure fanatici appassionati delle più improbabili sette esoteriche. Blue Öyster Cult suona decisamente meglio. Perlomeno per un giovane che ancora non mastica bene l’inglese, ma è particolarmente incuriosito da quell’enigmatico logo che scorge nella copertina di un disco. E poco importa se c’è chi lo indica come il simbolo del dio Cronos, oppure come un’oscura rappresentazione della morte. Il ragazzo non conosce ancora queste leggende, semplicemente ne è affascinato e da lì inizierà un vero e proprio “culto” per questa straordinaria band. Cinque polistrumentisti cresciuti nei decadenti circoli di New York che dalla fine degli anni sessanta cominciano a scrivere alcune delle pagine più interessanti della storia del rock. Coadiuvati dal geniale produttore e paroliere Sandy Pearlman, per più di un decennio i nostri ci accompagnano nel loro mondo visionario, popolato di alieni, uomini in nero e vampiri. Testi profondi ed evocativi che abbracciano il lato più misterioso della vita. Originali quanto la loro musica. Un rock oscuro ed eclettico, in continua mutazione nel corso degli anni, che passa dall’hard’n’roll degli esordi fino all’arena-rock dei primi anni ottanta.

“Extraterrestrial live” viene pubblicato nel 1982 ed è il terzo lavoro dal vivo della band. Un disco monumentale, che testimonia per l’ennesima volta la grande carica che i cinque riescono a trasmettere nelle loro esibizioni. Ciò che lo differenzia rispetto ai precedenti, oltre all’ennesima svolta musicale intrapresa con gli ultimi due pregevoli lavori da studio, è che finalmente le parti vocali sono interamente affidate all’ugola di Eric Bloom. Una delle caratteristiche del gruppo infatti è sempre stata la volontà dei componenti di alternarsi nei vari ruoli e strumentazioni. Ma personalmente ho sempre pensato che la voce del sopraccitato fosse un vero punto di forza. Con il suo timbro cupo e profondo, la sua espressività a tratti drammatica ed il suo stile teatrale. In perfetta sintonia con testi e musiche. Basti ascoltare la parte centrale della violenta opener “Dominance and Submission”, dove Eric coinvolge un pubblico invasato nei suoi deliranti monologhi. Oppure l’emozionante introduzione del classico “Godzilla”, dove il nostro coglie l’occasione per affrontare il tema del nucleare. Il disco è un concentrato di energia, dal riff scolpito nella roccia di “Cities On Flame” alla riuscitissima cover di Roadhouse Blues, nella quale peraltro dividono il palco con l’ex Doors Robbie Krieger. Non mancano però i momenti più sofferti, come l’anthem “Don’t Fear the Reaper”. L’assolo del talentuoso Buck Dharma è arte ai massimi livelli. Una tempesta di elettricità, che lascia i brividi ad ogni ascolto. "Joan Crawford" invece, introdotta da un piano classicheggiante, si sviluppa in una composizione dal ritmo incalzante e intrisa di melodie malinconiche. In questo caso in piena antitesi con il testo che descrive il ritorno della protagonista dall’oltretomba. Ma il momento più coinvolgente alla fine risulta senza ombra di dubbio la meno conosciuta “Veteran of the Psychic Wars. Un brano dominato da un drumming marziale e pulsante, sul quale si stende il tappeto tastieristico a creare atmosfere inquietanti. Strepitoso ancora l’assolo di chitarra, giocato sull’accumulo di note, mentre la canzone acquista un ritmo travolgente. Questo disco ha un solo difetto: l’assenza del capolavoro assoluto della band, la splendida “Astronomy”.It's the nexus of the crisis / and the origin of storms”. Da questo momento in poi la vena creative della band subirà un’evidente flessione. Ma l'influenza dei Blue Öyster Cult sarà enorme nell’hard rock e nell’heavy metal che seguiranno. Imprescindibili.


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