Per gli appassionati del gruppo newyorkese, la carriera dei Blue Öyster Cult termina, ufficiosamente, nel 1981, a seguito dell'uscita dell'ottimo "Fire Of Unknow Origin" e dell'abbandono del gruppo da parte del batterista/cantante Albert Bouchard, le cui ritmiche avevano contraddistinto, con il tipico andamento caracollante e quasi jazzy, i migliori pezzi del quintetto, soprattutto nei primi album del periodo 1971-1974.

Gli anni successivi, segnati anche dall'abbandono del bassista e compositore Joe Bouchard - fratello di Albert - furono segnati da avvicendamenti che non giovarono alla formazione, e dall'uscita di album di certo non malvagi (penso soprattutto a "The Revölution By Night" dell'83) che, tuttavia, patirono l'aggiornamento dell'hard sound del gruppo a suoni più leggeri e radiofonici, affini a certo AOR dell'epoca.

Un inatteso e riuscito ritorno in sala di studio della formazione originale si ha, tuttavia, fra il 1987 ed il 1988, quando i membri del gruppo ed il produttore storico dei BÖC, Sandy Pearlman, tornando ad incidere alcuni vecchi brani di repertorio e pezzi inediti nel concept "Imaginos", in origine destinati ad un album solista del redivivo Albert Bouchard.

Il tema portante dell'album, i cui testi risultano forzatamente criptici - e naturalmente occulti - come ben sanno i fan del gruppo, deriva dalle solite suggestioni di Pearlman e dello stesso Bouchard: la storia dell'uomo, dagli episodi minori alle grandi scoperte, è probabilmente influenzata da intelligenze occulte di origine aliena, che guidano passo passo l'umanità, anche attraverso i propri emissari, verso non si sa dove. Sci-fi e gnosi si integrano in un discorso apparentemente "basso" e popolaresco, ma forse più colto di quanto non possa sembrare di primo acchito, con riferimento ai limiti della conoscenza umana, al rapporto fra uomo ed universo... il tutto condito con un nichilismo di fondo, a mio parere debitore delle radice ebraiche di Pearlman e del cantante Eric Bloom.

L'album, da molti salutato come autentico capolavoro, ha un valore sostanzialmente... "episodico", risultando, a mio parere, piuttosto artificioso, anche se ciò non toglie valore ad alcuni pezzi, effettivamente ben fatti ed assai interessanti, tenendo conto del contesto (fine anni '80) in cui furono eseguiti.

Nel complesso, lo stile del gruppo risulta aggiornato rispetto al passato, con maggior enfasi sugli arrangiamenti delle tastiere - che donano tocchi quasi fantascientifici - e maggior compatezza nel suono delle chitarre, qui suonate da  Donald "Buck Dharma" Roeser e da ospiti d'eccezione, come alcuni nomi noti dell'hard rock a stelle e strisce (Joe Satriani, Aldo Nova, Kenny Aaronson), nonché Robbie Krieger dei Doors.

Paradossalmente, è proprio la sezione ritmica dei fratelli Bouchard - valore aggiunto del gruppo quantomeno nella prima fase della carriera dei cinque - a venire penalizzata dall'aggiornamento del suono del quintetto: la libertà espressiva e l'interplay di basso e batteria sono sacrificati da soluzioni ritmiche uniformi e poco inventive, in aderenza a certo hard rock dell'epoca, ormai immemore delle sue triviali origini blues e degli spazi di improvvisazione che erano ad esso connaturati alla fine degli anni '60.

Il tutto fa sembrare il lavoro troppo ordinato, troppo compito, troppo artificioso, senza troppo aggiungere, dunque, alla carriera dei BÖC, il cui ritorno sulle scene musicali era salutato come un capolavoro più per ragioni affettive, o ancora, a fronte del relativo deserto musicale in cui i nostri si muovevano in ambito hard rock, in un periodo in cui l'avanguardia del genere era, piuttosto, il trash di certi loro epigoni, primi fra tutti i Metallica.

Ciò non toglie, ovviamente, che nell'album non si possano scorgere dei lampi di classe, ed interesse, che rendono comunque piacevole l'ascolto di "Imaginos", elevandolo certamente al di sopra della media di altri lavori del genere, oltre che della discografia dei BÖC dall'81 in poi.

L'interpretazione dei singoli pezzi da parte di Bloom, infatti, appare particolarmente espressiva, alternando declamazioni quasi teatrali a grintose cavalcate; l'atmosfera generale dei pezzi - quello che si direbbe il mood del gruppo - resta nel complesso inquietante e disturbante, anche grazie a tesi che, nel suggerire l'esistenza di realtà alternative, nel mostrarci i confini - a noi prossimi - dell'ignoto. La perizia tecnica del gruppo, e dei musicisti ospiti, appare, inoltre, fuori discussione.

I pezzi più significativi dell'album, in quest'ottica, sono la potente "I Am the One You Warned Me Of", la melodica "Del Rio's Song", anche se l'apice dell'album si raggiunge con l'ipnotica "In the Presence of Another World". Interessanti, benché inferiori agli originali, le auto-cover di "Astronomy" e "Subhuman" (ora "Blue Öyster Cult").

Nel complesso, un album più che dignitoso, inferiore però ai lavori del passato.

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