Quando si parla di padri del rock, il nome di Bo Diddley è sempre messo un pò in secondo piano. Elvis era The Pelvis, Chuck Berry il primo dei guitar heroes, Buddy Holly il nerd sensibile e romantico mentre Little Richard fu il primo a giocare con l'ambiguità e la trasgressione. Non a caso lo stesso Diddley una volta disse: "Sono io che ho aperto un sacco di porte, ma sono rimasto con il pomello in mano".

Diddley paga forse il non aver mai avuto epocali sucessi in classifica a parte il memorabile singolo "Bo Diddley/i'm the man" del 1955 (del resto era compagno di etichetta dell'ingombrante e popolarissimo Berry), ma -nonostante non avesse forse qualcosa di riconoscibile a prima vista per le masse come i nomi che ho citato- i suoi classici hanno avuto un'influenza straordinaria e forse ben più profonda nella storia del rock. Pensiamo soltanto alla rilettura di "Who Do You Love" e "Mona" da parte dei Quicksilver nel capolavoro psichedelico "Happy Trails" o all'influenza su gente come Pretty Things, Kinks, Animals, Yardbirds e Sonics. Senza contare che gli Stones e Hendrix furono tra i suoi più grandi  estimatori: non può essere un caso, dato che il nativo del Missisipi aveva codificato l'electric Chicago blues assieme a Waters, Dixon e Wolf.

Quali erano i tratti distintivi dell'opera di Diddley? Anzitutto il favoloso beat sincopato, autentico cuore del rock and roll, con inserti tribali che arrivavano a citare le radici africane e valorizzato dalle maracas di Jerome Green. "Who Do You Love" è in questo senso un pezzo insuperabile, riassunto del suo stile tra il blues e il nascente rock and roll. E poi tutti gli effetti chitarristici: Bo usava una chitarra rettangolare di costruzione Gretsch, deta "Twang Machine", e da essa faceva partire tutta una serie di distorsioni, tremoli ed effetti che arricchivano i suoi riff blues (immortale quello di "i'm a man") che ne fanno un ispiratore del grande Jimi (i presunti sacerdoti unici del chitarrista di Seattle concorderanno...). Il suo stile chitarristico era stordente, gradasso, fuzzy ed espandeva la potenza dello strumento verso destinazioni ignote. E infine la sua voce, diretta e selvaggia, che illumina pezzi come "Bo Diddley", "Pretty Thing", "Road Runner", "Before You Accuse Me" e l'amara profetica "You can't judge a book by it's cover".

Signori, sono i classici immortali nel repertorio dell'unico, autentico "Originator".

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