Bobby D (in breve), il "vecchio" Bob viene in città per suonare. Ed io allupato come una zanzara in cerca di sangue mi precipito al Palamalaguti perchè non gli permetterò mai di entrare e passarmi cosi vicino senza che io lo veda.

Si presenta con 10 minuti di ritardo, vestito con un bellissimo completo nero, accompagnato dalla sua elegante band al completo: due chitarristi, un bassista (che farà ruotare fra le sue mani anche il contrabbasso), batteria, steel guitar, violino, e lui stesso impegnato alla tastiera (pianoforte), voce e armonica. Non ha bisogno nè di cori ad armonizzare la sua voce, perchè canta con una intensità tale, e con una timbrica cosi particolare che qualsiasi cosa in più guasterebbe la delizia, tanto è vero che nel mix generale ad avere più risalto sono la sua voce e le chitarre elettriche, nè di altri artifizi. La scenografia è curata ma decisamente scarna, il che fa prevedere un concerto spoglio di quelle caratteristiche ormai diventate un clichè di ogni concerto che si rispetti: gli "effetti speciali". Niente di tutto questo. Bob Dylan scende dallo spazio degli anni '60, atterra in una città qualsiasi del pianeta (non credo proprio che a lui faccia alcuna differenza essere a Bologna o a Tokyo), suona, e riparte come un extraterrestre venuto in pace.

Avevo già visto Dylan un anno fa a Benidorm, in Spagna. Ma questa volta il concerto è stato leggermente più generoso. In scaletta comparivano infatti canzoni che, seppur arrangiate in modo totalmente diverso, a volte in antitesi rispetto all'originale, hanno fatto la storia e che hanno messo in imbarazzo migliaia di cantautori. "I Ain't Gonna Work On Maggie's Farm No More", "Love Minus Zero", "Highway 61", "It's Allright Mama, I'm Only Bleeding", "Like A Rolling Stone" per citarne qualcuna. Non mi sarà mai chiaro Dylan. E tra l'altro non desidero capirlo. Ma tra una canzone e l'altra (durante un concerto di Bob Dylan c'è sempre tempo per pensare), mi sono chiesto più volte che cosa significhi al giorno d'oggi, come icona e come musicista, un'artista come lui. Il Palamalaguti era mezzo pieno (quindi anche mezzo vuoto). Non mi meraviglio, anzi, nessuno si è meravigliato per questo. Anche le Chiese sono ormai tutte mezze vuote la domenica (molte a dire il vero sono deserte). Ma la coerenza di Dylan nel portare avanti la sua sacrosanta musica, originale nel senso più letterario del termine, cioè mantenendo fede alle sue scelte, e perchè no alle sue presunzioni, è straordinaria se si pensa che questa persona ha contribuito forse più di ogni altra allo sviluppo della musica popolare, e che potrebbe alla sua età appendere quella meravigliosa giacca nera e starsene in casa a scrivere barzellette. Invece ha chiamato il suo tour "Neverending Tour". Dylan ha dichiarato più volte la sua necessità di tornare alla tradizione, ed è cosi che porta avanti il suo circo. Nel modo più tradizionale possibile, ovunque si trovi, qualsiasi pubblico abbia pagato per sentirlo o vederlo. Rock'n'roll, blues, country, senza alcuna concessione, senza alcun compromesso. Perchè è ovvio, e sentendolo snocciolare rime e graffianti ritornelli ce ne si rende conto alla svelta, che è la parola, la poesia, ciò che fa di un suo concerto un fuoco d'artificio di emozioni.

È convincente, romantico, a volte aggressivo, a volte desolato, mentre appoggia le sue labbra sul microfono. Le sue movenze sono sinuose e a volte persino sexy (!!!!), mentre trascina le canzoni tra passaggi raffinati, sempre e comunque classici, e per questo onesti, mentre guida la sua armonica e la fa parlare. Bobby D ti convince senza ammiccare, senza regalarti nulla, anzi, (purtroppo), togliendo molto. Spoglia le sue canzoni di quello che ne hanno fatto gli uomini e le ripropone come un secondo Vangelo, spoglia un evento di quell'ostentazione di luci e suoni tipica dei nostri giorni, dandoti in cambio il fascino del suo mito, l'eterna eleganza del passato, dei suoi capelli bianchi, dei suoi sorrisi stanchi e del suo sguardo che sembra annebbiato, ma più è annebbiato e più è saggio. Tanto è vero che durante il concerto canta in un modo strepitoso. La sua timbrica è come direbbe Richard Benson infernale ma allo stesso tempo umana come poche. Le variazioni che si permette di fare alle linee melodiche sono spesso ripetitive, come per dire "Non esistono le canzoni, ne esiste una sola, universale". Concetto forse un pò mistico, ma reale nel caso Dylan, che rimane per me un punto di riferimento fondamentale, al quale sono convinto ci si appoggerà sempre di più nel futuro. Perchè sarà anche "vecchio", ma è di cemento armato.

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