In principio sono Joe, Mick, Paul e Terry che vanno a vedere la sfilata di carnevale nel quartiere londinese di Notthing Hill, scoppiano tafferugli, arriva la polizia e giù scontri anche peggio, loro ne restano impressionati e, visto che incidentalmente sono i Clash, ci scrivono su un pezzo che è «White Riot» e soprattutto maturano la consapevolezza che forse c'è qualcuno che è ribelle da prima e più di loro; e visto pure che all'epoca spopola un brano reggae chiamato «Police & Thieves» e stanno registrando il primo album, ecco, rifare a modo loro proprio «Police & Thieves» gli sembra significativo.
Un tale Robert, che a casa sua è poco più di un profeta e pure fuori mica scherza, capisce che si può fare e ricambia con una canzone che è «Punky Reggae Party».
Da cosa nasce cosa e ne spuntano davvero delle belle, gli Stiff Little Fingers di «Johnny Was», i Ruts di «Jah War», e qualcuno trova pure il modo di farci soldi a palate, tipo i Police, la polizia, quella degli scontri a Notthing Hill, e il cerchio è chiuso.
I Clash, gli Stiff Little Fingers, i Ruts, bella gente che popolava la scena del punk '77.
Ma LORO, e quando scrivo loro tutto maiuscolo intendo quelli che hanno salvato il rock'n'roll, ecco, LORO col reggae non si sono mai nemmeno salutati da lontano, ovviamente perché il reggae è tutto in levare e se a Johnny gli avessi intimato di pennare in su, non saresti vissuto abbastanza per andare a bullarti in giro di aver convinto Johnny a pennare in levare.
Un brutto giorno Johnny muore, prima di lui muoiono Joey e Dee Dee, poi Tommy, e così LORO, quelli veri, adesso non sono più di questo mondo.
Ci sta che a qualcuno spunti il ghiribizzo di fantasticare di cosa sarebbe stato se Robert, quello di «Punky Reggae Party», avesse bazzicato il CBGB's a metà settanta opppure se LORO fossero mai sbarcati a Kingston per una serie incendiaria di esibizioni.
Di certo sarebbe venuta fuori una gran cosa, anzi grandissima.
Però è morto pure Robert oltre a LORO, gente di tale fatta non ne esiste più, e allora mettiamoci una bella pietra tombale sopra e non ci pensiamo più.
Non ci pensiamo più.
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Però …
Che, ci vogliamo pensare?
Massì, in fondo ...
E pensiamoci.
Ecco, io direi che …
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… che ci vorrebbe un fottuto genio che s'inventasse qualcosa.
E pensa che ti ripensa, il genio alla fine spunta, ha pure un nome, mica è solo un genio in incognito.
Bobby Ramone, per l'esattezza, perché Robert diventa Bobby come Jeffrey diventa Joey, John Johnny, Douglas Dee Dee e Thomas Tommy.
Bobby Ramone è Robert che nel 1976 capita chissà come al CBGB's mentre suonano i Ramones e quelli lo invitano sul palco per fare insieme «Rockaway Beach» e «Them Belly Full»; è Robert che ricambia l'invito ai fratelli ritrovati, a Kingston, a casa sua, ci sono cose che bollono in pentola e li vuole partecipi, e magari sarà la volta buona che Johnny pennerà in levare.
Quei quattro a Kingston ci vanno per davvero, a trovare Bobby, a cavalcioni del razzo pilotato da Pinhead, destinazione originale la Russia
Dirotta su Kingston, Pinhead.
«Rocket to Kingston», sarebbe bello come titolo di un album diviso tra Bobby e i Ramones, con Bobby che canta le sue parole, one-two-three-four, e i suoi fratelli scatenano l'ennesima missione di salvataggio del rock'n'roll.
E tutti quelli che stanno lì, guardano e ascoltano e si divertono come forsennati sulle note di «I Don't Wanna Stand Up», «Stirring in my Room», «Three Little Surfin' Birds» e «Glad to See You Cry».
Li capisco, beati loro, perché pure io erano anni che non mi divertivo così taanto ad ascoltare un album.
E se mi mette di buonissimo umore anche solo leggere i titoli dei pezzi, poi ci sono momenti che non solo mi regalano uno smagliante sorriso a trentasei denti – tutti, in realtà, dall'inizio alla fine, dal primo al 25° minuto di quanto è lungo questo viaggio in 10 tappe da New York a Kingston e ritorno – ma anche che mi fanno esclamare che meraviglia, cose come «Today One Love, Tomorrow the World», «Jamming Affairs» o quel gioiellino di «Bye Bye Redemption».
E magari sarà l'entusiasmo del momento ma Bobby Ramone è il fottuto genio che mi ha regalato l'album più eccitante su cui sia stampigliato il nome Ramone dai tempi in cui i Ramones hanno smesso di essere.
E allora ci traggo pure la morale, che cose così, piccole, improvvisate e male in arnese, proprio per questo sono la sola speranza di sopravvivere che ha il rock'n'roll, Bobby Ramone come Amyl, «Rocket to Kingston» come «Giddy Up»; e tra 30 anni, sulla panchina del giardinetto, mi ricorderò della sensazione di quando ho ascoltato per la prima volta Bobby.
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Poi, se a qualcuno interessa, ogni singolo pezzo di questo album è un mashup.
A me, per dire, non interessa.
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